venerdì 29 gennaio 2016

IL GIARDINO STREGATO

IL GIARDINO STREGATO C’era una volta, tanto tempo fa, un regno felice i cui abitanti pensavano di vivere in paradiso. Non esisteva la povertà, né la fame o l’ingiustizia. Ogni cittadino possedeva o una bella fattoria, o un palazzo o un castello e tutti lavoravano, guadagnavano e commerciavano. Il re di quel beato regno aveva incrementato l’Arte e la Cultura e i regni vicini invidiavano la meravigliosa amministrazione di quel paese. Un giorno si trasferì in una piccola casa abbandonata, vicino al bosco, una splendida ragazza. Era la creatura più bella mai vista. Un manto biondo grano circondava due occhi blu come il cielo e la pelle della ragazza ricordava le pesche mature. Gli abitanti rimasero colpiti da tale bellezza ma, pochi giorni dopo il suo trasferimento nel loro paese, rimasero anche sconvolti perché, intorno alla casetta dove abitava la fanciulla, era cresciuto un muro di piante e rovi. La fanciulla spaventata e sconvolta, chiedeva aiuto, voleva uscire ma le piante glielo impedivano. Sembravano piante stregate. Tutti i giorni sedeva sul piccolo prato che circondava la casetta e il giardino era diventato la sua prigione. Anche le persone che tentava di attraversare il muro di piante, venivano respinte. La notizia fece il giro del regno e tutti, impietositi per la situazione della povera ragazza, tentarono di distruggere le piante, tagliandole o dando loro fuoco, per farla uscire. Ma, magicamente, in pochi secondi, ricrescevano, intricate e rigogliose. Quale mai strana natura era quella? Com’era possibile che cespugli e rampicanti fossero animati da una così perfida volontà che aveva il solo fine di tenere prigioniera una povera fanciulla? Il principe di quel regno, volle andare a vedere di persona il giardino e appena vide la ragazza se ne innamorò perdutamente. Dopo averle parlato a lungo, la fanciulla seduta sul prato, tacque, sconsolata e malinconica. Allora il figlio del re, esasperato ed infiammato d’amore per la ragazza, si recò da un vecchio contadino che conosceva bene le piante. “Altezza!-l’accolse il vecchio-quale onore! Cosa posso fare per lei?” Il giovane gli sorrise, speranzoso: “ Ti conosco da quando sono nato e so che sei al corrente della situazione della povera ragazza prigioniera del giardino. E’ una fanciulla meravigliosa! E’ talmente splendida che lascia senza fiato! Ha il mare negli occhi e il sole fra i capelli. Non ho mai visto una ragazza così bella e ho capito subito che era lei la fanciulla che ho tanto atteso e che desidero sposare. Quindi ti prego di aiutarmi a liberarla da quelle terribili piante stregate. Esiste una maniera per ucciderle?” Il vecchio contadino rispose:” Principe, ho visto quale potere hanno quei cespugli! E i rampicanti spinati sono anche peggio! L’unico rimedio che mi viene in mente è una vecchia mistura che ogni tanto uso per seccare le erbacce. “ Subito il giovane chiese: “Di quale mistura parli?” Il contadino rispose:” E’ una miscela di sale, aceto e cenere. Innaffi le radici delle piante e aspetti una notte. Di solito il giorno dopo le erbacce sono morte.” Il principe ringraziò e immediatamente fece come gli aveva consigliato il vecchio contadino innaffiando i rovi con la mistura per le erbacce. Miracolosamente, l’indomani tutti i rovi e i cespugli che tenevano prigioniera la ragazza erano secchi, così il principe scavalcò agilmente il muro per abbracciare la fanciulla che quello stesso giorno volle sposare con solenni festeggiamenti. Ma l’indomani delle nozze, i camerieri trovarono il re e la regina misteriosamente morti nel loro letto. Nessuno era riuscito a capire il motivo della loro dipartita. Poche settimane dopo, anche il principe, ormai diventato re, morì misteriosamente e la giovane sposa diventò regina di quel regno. Da quel triste giorno ingiustizia, prepotenza e paura traversarono le case dei poveri abitanti. In realtà la splendida fanciulla nient’altro era che una strega cattiva e feroce che aveva ucciso il re, le regina e il principe per salire al trono e impossessarsi del reame. Ella amava il delitto e la crudeltà, così portò via ogni bene agli abitanti, usurpò tutte le ricchezze del regno che lentamente andò in rovina. Solo alla fine, gli abitanti capirono veramente chi era la regina. Un’orribile strega che Madre Natura aveva voluto tenere prigioniera per evitare che facesse del male e che loro, scioccamente, avevano voluto liberare. Le piante e i cespugli volevano solo proteggere la loro terra che fu messa a ferro e fuoco dalla perfida fattucchiera. Il regno, un tempo ricco e fiorente, scomparve, le persone morirono di fame e la fertile terra si trasformò in una landa desolata.

mercoledì 27 gennaio 2016

IL REBUS PIU' DIFFICILE

IL REBUS PIU’ DIFFICILE C’era una volta, in un regno lontano, uno scienziato famosissimo. Nel corso della sua lunga vita aveva risolto tanti quesiti matematici, esperto di Astronomia, Biologia e Botanica, il nostro pianeta aveva ormai ben pochi misteri per lui. Per tutta la vita aveva solo studiato, sperimentato e fatto conoscere il suo eccelso lavoro. L’imperatore di quel regno lo teneva in grande considerazione e aveva preteso che vivesse nel suo grande castello. Così “Mallius il Grande”, “Mallius il Supremo”, “Mallius il Magnifico”, era osannato e ammirato come un Dio. Ormai anziano, parlava così tante lingue che ne aveva perso il conto. Aveva pubblicato migliaia di libri e milioni di persone, da ogni parte del mondo, erano andati ad omaggiarlo. Ma ahimè, la superbia dello scienziato era andata aumentando con la sua meravigliosa cultura. Capriccioso e viziato, Mallius amava l’adulazione e l’elogio, ma nella sua lunga vita, non aveva mai amato. Era solo un ragazzo quando si era staccato dalla famiglia, non interessandosi più della sorte dei suoi genitori e dei suoi fratelli. I suoi studi e le conquiste scientifiche gli avevano fatto accumulare enormi ricchezze che teneva gelosamente nascoste nei forzieri e nei depositi sotterranei ma non aveva mai fatto una carezza ad un bimbo né fatto l’elemosina ad un povero. Il suo cuore era un diamante, prezioso ma freddo e duro. L’imperatore di quel regno desiderava sempre vederlo, parlare con lui e imparare almeno qualcosa dell’oceanica cultura di Mallius che, un po’ seccato, si prestava a tal servizio, sapendo come era preziosa l’amicizia con il signore di quel regno. Ma gli anni erano passati, tutti i premi di scienza, vinti, migliaia di riconoscimenti ottenuti ma lo scienziato si accorse che qualcosa gli mancava. Si alzava la mattina con una piega amara sulla bocca che non aveva mai avuto. Cosa mai era quella sensazione? Erano diverse settimane che quello strano languore lo perseguitava. “ Per tutti i Numi!-pensava-perché mi sento così? Soldi…successo scientifico…potere…insomma ho tutto! Ma non sono più felice! Cosa mai mi sta succedendo?” La smisurata intelligenza di Mallius non riusciva a risolvere il mistero. Per lui i calcoli astronomici erano operazioni elementari ma non era in grado di dare un nome a ciò che ormai da mesi lo tormentava. Chiamò il più grande medico del regno per essere visitato:” Eccelso –chiese il dottore- le duole qualche parte del suo corpo?” Mallius imbronciato gli rispose:” No. Fisicamente sto bene…ma da vari mesi ho qualcosa dentro che mi fa star male. E non so cosa sia. Nemmeno i miei studi mi danno più soddisfazione! Non scrivo più libri e non mi dedico più alla ricerca! Mi sembra che niente mi interessi più. E poi, quando mi sveglio la mattina, mi sento così…così…fiacco. Apatico!” Il luminare gli fece tante domande, sperando di capire il motivo del malessere dello scienziato, ma dopo quasi un’ora, nemmeno lui aveva capito niente. Mallius era sano come un pesce, anche se anziano, però soffriva lo stesso. Il dottore andò via, senza avergli dato una diagnosi e così quel malessere iniziò a minare anche la salute fisica del famoso scienziato. Mallius smise di dormire e di mangiare, e iniziò a non alzarsi più dal letto. L’imperatore, turbato di perdere una così illustre celebrità, chiamò altri dottori che tentarono di curarlo, ma nessuna medicina poté salvarlo e “Mallius il Grande” spirò poche settimane dopo. Lo scienziato si ritrovò davanti alla Giustizia Divina che esaminò ogni secondo della sua vita. Poi gli chiese di cosa andasse particolarmente fiero. Mallius iniziò ad elencare i premi vinti, i libri pubblicati, le onorificenze ottenute, la ricchezza guadagnata… “E poi?” gli chiese il Cielo. Solo di questo sei fiero? Mallius rispose.” Sulla terra io ero “La Scienza….” Sulla terra io ero la sede del “Sapere”! Di cos’altro dovevo essere fiero?” Il Cielo obiettò:” Di tua moglie!” Mallius esclamò, quasi indignato:” Mai avuta una moglie!” Allora la Giustizia Divina continuò:” Allora sarai stato fiero dei tuoi bambini! Oppure dei tuoi genitori? O dei tuoi fratelli? O dei tuoi amici? O di qualsiasi persona tu abbia amato!” Lo scienziato, trasecolando, esclamò:” Bambini? Fratelli? Qui c’è un malinteso! Io ero fiero dei miei successi scientifici? Cosa c’entrano le persone?” Il Cielo gli chiese:” Quindi le persone erano meno importanti del Sapere?” Mallius esclamò, sorridendo:! Naturalmente….anche se, visto che ci sono, e visto che mi trovo anche nel regno della Conoscenza, volevo notizie del malessere che poi mi ha portato alla morte. Cos’era quello strano languore? Cosa mi ha tormentato per tanti mesi?” Il Cielo sorrise e non rispose. Mallius dopo vari minuti di silenzio, rassegnato per non aver ottenuto risposta, chiese : ”Allora, posso entrare in Paradiso?” “No” rispose l’Universo Celeste. Lo scienziato rimase di ghiaccio. Orrore e sgomento lo trafissero. Rifece la stessa domanda, supplicando, implorando, scongiurando centinaia di volte di farlo entrare nel regno beato, ma la risposta non mutò. Allora Mallius chiese il perché. Il Cielo rispose:” Perché nella tua arida vita hai amato solo la Scienza. Il Potere…la ricchezza! Sei un deserto senz’acqua. Un vaso senza fiori. Un cielo senza stelle. E la tua somma intelligenza non ha risolto il più facile dei misteri. Il malessere che ha tormentato gli ultimi mesi della tua esistenza terrena, altro non era che la mancanza d’amore! Il tuo corpo si è accorto di tale errore ma la tua meravigliosa mente no. Così dispongo che rimarrai fuori le porte del Paradiso finché non hai imparato ad amare. Questo è il mio giudizio.” Mallius, sconvolto e annichilito, esclamò piangendo:” Ma come posso imparare ad amare se son morto? Come faccio a dimostrare la mia volontà di cambiare? Come faccio? Quali mezzi ho?” Il Cielo rispose:” Questo è un mistero che dovrai risolvere!”

giovedì 21 gennaio 2016

IL MATRIMONIO DELLA MAGIA

IL MATRIMONIO DELLA MAGIA Il principe dei folletti, Thio, si era innamorato follemente della principessa degli elfi, Firla. Si erano conosciuti “all’Evento Annuale della Presentazione dei Nuovi Membri Nobili dei Mondi Magici”. Il principe Thio era rimasto abbagliato dalla principessa, appena presentata in società. Firla era bellissima! Lunghi capelli biondi incorniciavano un viso nobile e delicato come le primule, e gli occhi viola erano profondi ma pensierosi. Le voci di palazzo descrivevano la principessa come un essere etereo, gentile e timido. Firla amava leggere e dipingere. Coltivava migliaia di rose intorno al castello reale e suonava il flauto e il pianoforte. Era buona con i sudditi e comprensiva con chiunque…una creatura meravigliosa che abbagliava chi la osservava. Aveva scelto il bianco e i brillanti per i suoi abiti, e il regno la guardava passeggiare fra i giardini del palazzo, avvolta da una nuvola candida e scintillante. Ed è così che apparve all’evento dell’anno a Thio che, da quel momento, non le staccò più gli occhi di dosso. Anche la principessa rimase colpita dal principe dei folletti e quella sera, nel salone da ballo del castello, fra il vortice delle danze e dei festeggiamenti, nacque il loro bruciante amore. Entrambi si accorsero che la vita era vuota ed inutile senza l’altro. Nessuno dei due poteva essere felice lontano dal compagno e così, dopo qualche settimana, comunicarono la decisione di sposarsi alle loro famiglie reali e ai ministri dei regni. Tale notizia fece scoppiare un putiferio. Il mondo dei folletti e quello degli elfi era regolato da rigide e secolari regole che mai nessuno aveva infranto. La segretezza dei loro mondi, la coordinazione dei venti, della neve, delle piogge, la crescita dei fiori e degli alberi e soprattutto la purezza della loro specie erano norme assolute. Ogni folletto ed ogni elfo aveva sangue puro nelle vene e quale principe poteva mai ereditare il regno se era frutto di due razze diverse? I genitori di Thio e di Firla decisero quindi di impedire ai giovani di incontrarsi, di parlare e comunicare per lettera. Immaginate la rabbia e la disperazione dei due giovani. Urlarono, piansero, imprecarono ma niente sembrava scalfire la decisione dei genitori. I sovrani stupidamente pensavano che dividere i due innamorati rappresentasse un bene per loro. Ma avevano decisamente sottovalutato l’amore dei due giovani che continuarono a ribellarsi e scappare dal castello reale per potersi incontrare. Fu così che Firla fu rinchiusa nel maniero più lontano e isolato del regno e Thio fu mandato nelle miniere d’oro a occuparsi degli affari di famiglia. Ma più il tempo passava, più i due ragazzi soffrivano. Firla non mangiava più, deperiva e smaniava mentre Thio aveva proprio perso la voglia di vivere e aveva cominciato a dormire tutto il giorno e a non parlare più con nessuno. Un anno dopo, i due principi erano ridotti come stracci, così i genitori, impietositi, li convocarono alla presenza dell’intera corte e del regno per affrontare una volta e per tutte la situazione. I quattro sovrani erano giunti insieme ad una drastica e sofferta decisione. “Firla-mormorò la madre regina, affranta e preoccupata-hai sofferto troppo e la tua vita ora è in pericolo. La tua salute è debole e lentamente ti stai spegnendo, così con tuo padre, il consiglio dei ministri e dei nobili siamo approdati ad una risoluzione del problema. Ti concederemo di sposare Thio, ma in cambio rinuncerai al regno, ai poteri magici e vivrai nel mondo reale senza nessun nostro aiuto. La corona sarà ereditata da tuo fratello che ha già accettato. Quindi ti chiedo formalmente se accogli questa proposta in nome dell’amore che provi per il principe Thio. Sei disposta a rinunciare a tutto per lui?” Firla rispose immediatamente:” Certo! Ho sofferto troppo lontana da lui e non desidero altro che sposarlo!” “E tu Thio-chiese a sua volta il re dei folletti-anche tu accetti di rinunciare a tutto per poter sposare Firla?” Il principe di getto esclamò: “Certo che accetto! Nessun titolo nobiliare, nessun regno, nessuna ricchezza e anche i poteri magici mi farebbero più felice che passare il resto della mia vita con Firla!” I genitori, commossi, sorrisero alle sentite dichiarazioni d’amore dei due giovani e così, pochi giorni dopo, Firla e Thio si sposarono. Andarono a vivere in una piccola casetta, nel folto del bosco, nel mondo degli uomini. Il principe era diventato un falegname e la principessa zappava nell’orto per avere qualche verdura per la zuppa. Entrambi si alzavano all’alba e lavoravano duramente tutto il giorno. Ma alla sera, felici e appagati, guardavano il fuoco scoppiettare nel camino, paghi solo della presenza dell’altro, parlando e raccontandosi fiabe e racconti. A volte passeggiavano nella foresta, o andavano a pescare le trote al fiume. Ogni giorno recava contentezza e gioia e i loro genitori avevano notizie regolari della vita dei loro figli, contenti che la giovane coppia fosse così felice. Molti elfi e folletti, nobili e ministri si chiesero come avevano fatto i due principi a rinunciare alla magia, ad ogni ricchezza e privilegio in nome dell’amore, abbracciando un’esistenza di duro lavoro e sacrificio ma quegli stolti non capivano come potesse essere straordinario e soddisfacente condividere la vera magia dell’amore.

mercoledì 13 gennaio 2016

LE PAGINE DI VETRO

LE PAGINE DI VETRO C’era una volta un regno sperduto il cui re, dopo tante preghiere e insistenze aveva ricevuto da una potente strega, un dono molto speciale. Aveva avuto in regalo, per ogni cittadino della sua contea, un pizzico di magia e così, senza troppi limiti, tutti potevano ambire ed ottenere ciò che desideravano. Immaginate la felicità di quelle persone che vollero subito castelli, terreni, cavalli pregiati, abiti, gioielli, oro e tanto altro! Ma in cambio di quella immensa ricchezza, la strega volle e ottenne dal re tutte le pagine scritte di quel regno. Nessuno avrebbe potuto più leggere e se qualcuno voleva desiderare un libro, le pagine sarebbero state trasparenti….come il vetro. Il re accettò subito la richiesta della fattucchiera, e le persone occupate dalle loro ricchezze e beati dall’opulenza della loro vita, non pensarono più ai libri e rinunciarono a leggere. Passarono diversi anni, il re invecchiò, i bambini crebbero. La vita in quel regno era un susseguirsi di feste, battute di caccia, cene e sfilate di moda. Tutti erano felici…tutti erano appagati…tutti avevano ciò che desideravano…ma inspiegabilmente, le persone cominciarono ad intristirsi…le donne, sui ricchi divani, si annoiavano. I bambini non giocavano più, e gli uomini aveva sul cuore, un’orribile pesantezza. Cosa era successo? Le pance erano piene…ogni desiderio era esaurito subito, ma la gente era malinconica e infelice. Così un giorno il re, esasperato e preoccupato, si recò dalla strega a chiedere il motivo di ciò che stava accadendo nel suo regno. La strega, sghignazzando, gli chiese: “Ma davvero non hai capito cos’è successo?” Il sovrano, canuto e tremolante: “ No…e vorrei che tu mi spiegassi perché i miei amati cittadini sono così infelici. Desideravo che ogni loro sogno fosse appagato. Per ognuno di loro anelavo ricchezze e benessere ed invece il regno sta morendo…infelicità e noia albergano nei loro cuori. Perfino i bimbi non giocano più.” La strega ebbe pietà del re e pazientemente rispose: “ Quando ti ho chiesto di avere tutte le pagine scritte del tuo regno, in realtà ti ho chiesto un regalo più grande di quello che io ti ho dato. Ho concesso ai tuoi sudditi la magia per esaurire i loro desideri ma tu mi hai donato i loro sogni. Leggere è la magia della mente e del cuore, e mentre lo fai, la fantasia si libera e il mondo cambia. Ogni parola scritta è un grande tesoro che possiede solo chi lo legge. Ho tolto dal tuo regno le parole scritte unica capacità del tuo popolo di sognare. Ora vi siete accorti di ciò che avete perso.” Il re, sconvolto e disperato chinò il capo. Aveva compreso l’enorme sbaglio che aveva fatto. I libri sono la ricchezza più grande dell’umanità…sono la vera magia della vita. “Ti prego-chiese umile e tremante- restituisci le pagine scritte dei libri e noi ti ridaremo la magia che ci hai donato. Ora ho capito che grande errore ho commesso ma spero di essere in tempo per rimediare.” La strega, comprensiva, sorrise. Accontentò il sovrano e tolse la magia agli abitanti restituendo loro le pagine scritte dei libri. Poco alla volta nel regno tornò la felicità e l’allegria. Tanti libri furono stampati, tanti scrittori aiutati e sostenuti. Furono costruite enormi biblioteche, regalati libri alle scuole e leggere divenne una legge di stato.

sabato 26 dicembre 2015

LA PASTASCIUTTA DI BABBO NATALE

LA PASTASCIUTTA DI BABBO NATALE Era la notte del ventiquattro dicembre e Babbo Natale stava facendo gli straordinari. Aveva visitato milioni di case, sceso innumerevoli camini e lasciato migliaia di doni. Ma era notte fonda e si sentiva stanco. Ogni bambino gli aveva lasciato sul tavolo, in ricompensa del regalo ricevuto, latte e biscotti e Babbo Natale non ne poteva proprio più! Di latte e biscotti ne aveva fin sopra la cima dei capelli e moriva dalla voglia di mangiare qualcos’altro. Così, con il desiderio di cibi salati, scese l’ennesimo camino di una bella villetta di città. Pensava:” Appena torno al Polo Nord voglio organizzare un pranzo di natale con i fiocchi! Dirò ai folletti di procurarmi subito tacchini e fagiani, patatine fritte e la pasta al forno non deve mancare!” Con questi pensieri famelici arrivò in salotto e trovò un bellissimo albero con numerose palline di vetro colorate, luci intermittenti , un presepe realistico e il resto della stanza decorata con vischio e ghirlande. Era contento di trovare una simile atmosfera natalizia così, soddisfatto, lasciò qualche regalo in più. “Sono convinto-pensava fra sé e sé-che i genitori di questi bambini siano delle gran brave persone. Hanno fatto un ottimo lavoro con gli addobbi e il presepio è fantastico!” Tutto compiaciuto, e ignorando i soliti latte e biscotti lasciati in bella mostra sul tavolo, accanto al presepe, stava per entrare nel camino e risalire la canna fumaria, quando un meraviglioso profumo di aglio e peperoncino colpì le sue narici. Ingolosito, si diresse verso la cucina. Sul tavolo apparecchiato, troneggiava una bella zuppiera di pastasciutta fumante. Babbo Natale, che era molto ghiotto di spaghetti e fettuccine, si avvicinò al piatto e non resistette. Lasciato cadere il sacco con i regali a terra, si sedette sulla sedia e attaccò a trangugiare famelico, la pastasciutta, mugolando di piacere. Dopo diverse forchettate provò una strana sensazione…e cioè, di non essere più solo. Quindi si voltò e dietro di lui, seria e risentita, una signora in camicia da notte, con le mani sui fianchi, lo stava osservando. “Signor Babbo Natale-mormorò la donna con disapprovazione- i miei figli le avevano lasciato latte e biscotti in salotto. Lei invece ha mangiato la pasta di mio marito che, fra pochi minuti, torna dal lavoro. “ Il vecchietto, rosso in viso, come la giubba di velluto che indossava, balbettava scuse su scuse:” Ehm- disse schiarendosi la voce- sono mortificato! Ma vede, mia cara signora, ho la nausea di latte e biscotti mentre vado matto per gli spaghetti aglio, olio e peperoncino!” “Anche mio marito ne va matto!-replicò la signora risentita- ora per colpa sua, quando lui tornerà dal lavoro, non troverà nulla di pronto. Quegli spaghetti li ho cucinati con l’ultimo pacco di pasta che avevo in casa. Comunque riferirò il suo scorretto comportamento a chi di dovere!” Poche ore dopo, davanti al comitato per il controllo dell’operato di fate, streghe e creature fantastiche, Babbo Natale affrontò la giuria. Il presidente, scocciatissimo lo rimproverò aspramente:” Bella figuraccia che abbiamo fatto-abbaiava l’illustre amministratore- se la voce si sparge, tutte le persone penseranno che noi, esseri magici, non sappiamo comportarci come si deve! “ Babbo Natale, spostando il peso da uno stivale all’altro, mormorava scuse. “Così-sentenziò il giudice-ci vuole una punizione esemplare! Passerai l’intero giorno di festa ad aiutare il marito di quella signora nel suo lavoro!” “Cosa?- esclamò Babbo Natale sconvolto-e dovrei rinunciare ai festeggiamenti? Ai regali? E soprattutto al pranzo luculliano che i miei aiutanti stanno preparando?” “Esatto” ribadì, severo, il giudice. Babbo Natale piagnucolava addolorato “No…non è possibile!-poi soffiandosi il naso, chiese- e di cosa si occupa il marito? Che lavoro dovrei fare?” Il presidente, duro, sentenziò: “ Il marito di quella donna fa il cuoco. E tu dovrai aiutarlo in cucina!” Così il povero Babbo Natale, il giorno di festa, lavorò nella cucina del cuoco, non aiutandolo a preparare manicaretti ma lavando centinaia e centinaia di piatti, tormentato dai mille profumi di arrosti e lasagne che aleggiavano intorno a lui.

giovedì 17 dicembre 2015

LA GROTTA DELL'ACQUA

LA GROTTA DELL’ACQUA C’era una volta, tanto tempo fa, un piccolo paese montuoso. Gli abitanti erano abituati solo a lavorare, erano poco istruiti, superstiziosi e non avvezzi ad accettare le persone diverse. Dalla famiglia più povera del paese nacque un bimbo che, ahimè, aveva qualche problema fisico. Povero bambino, aveva un braccio e una gamba più corte dell’altra e inoltre il faccino era deformato. La levatrice quando diede il neonato alla madre, quasi svenne dal disgusto e il padre scappò a piangere in un’altra stanza, davanti agli occhi degli altri cinque fratelli. Non fu un giorno di festa per quella povera famiglia ma la madre amò quello sventurato figlio fin dal primo istante e lo tenne sempre vicino a sé, per proteggerlo e vegliarlo dalla cattiveria del mondo. I fratelli non lo avevano accolto bene e nemmeno il padre che non lo guardava mai né lo prendeva in braccio. Fu battezzato Styrka che in svedese significa forza. Ed in effetti, crescendo il bimbo mostrava una vivace intelligenza e grande forza di volontà. Le menomazioni fisiche non gli impedirono di imparare a camminare e già a quattro anni sapeva leggere e scrivere. Ma le sue notevoli doti intellettive non gli furono di nessun aiuto con le persone del paese. Additato come mostro, nessuno lo guardava, e quando usciva con la mamma, la gente cambiava strada pur di non incrociarlo. Per l’intero villaggio era una creatura orribile, uno scherzo della natura che andava evitato perché chissà cosa poteva succedere. I guai cominciarono quando Styrka fu mandato a scuola. Fin dal primo giorno, i compagni, superata l’iniziale paura, lo schernivano, lo insultavano, lo isolavano e durante la ricreazione, gli tiravano anche le pietre se il povero bimbo cercava di avvicinarsi. Ogni giorno tornava a casa piangendo, ferito dai sassi e dai calci che i bambini gli tiravano. La mamma si recava spesso a scuola per lamentarsi con le maestre di ciò che accadeva al figlio ma nessuno poteva proteggerlo per tutto l’orario scolastico perché appena rimaneva solo, per pochi minuti, subito qualche bambino lo aggrediva selvaggiamente. Così Styrka crebbe solo, continuamente deriso e attaccato, ma nonostante tanta cattiveria, divenne un giovane mite e buono. Terminata la scuola, il padre lo mandava a fare la guardia al piccolo gregge di pecore della famiglia. Gli altri fratelli andavano a zappare per qualche contadino, sperando di portare a casa qualche soldo che serviva per la famiglia. Così gli anni passarono, il padre e la madre divennero anziani e alcuni dei fratelli di Styrka si fidanzarono. Crescendo, le deformità fisiche si fecero più evidenti, e il viso divenne una maschera grottesca. Alto come tutti i maschi della famiglia, ora il poveretto incuteva anche paura. Ma era un uomo buono, e dolce. Styrka infatti amava gli animali, adorava la musica e la lettura e dipingeva dei meravigliosi paesaggi. Ma tutto ciò era inutile poiché tutte le fanciulla del paese erano interessate solo ai giovani belli e piacenti e il povero deforme lo guardavano solo con repulsione e nausea. L’unica donna che gli parlava era la madre, il resto della popolazione femminile o lo evitava o lo ignorava e il poveretto si rendeva conto che avrebbe passato la sua vita da solo e senza una compagna. Un giorno, più triste del solito, Styrka portò le pecore su un’altura, più alta del prato dove di solito si recava, e nascosto da vari cespugli di nocciole, si accorse che c’era una piccola voragine fra l’erba. Incuriosito, si addentrò nel cunicolo, facendosi largo fra la paglia secca e i rami. Era così stretto che per procedere, doveva avanzare carponi. Era buio e angusto. Così Styrka tornò indietro a prendere una torcia che accese all’esterno e rientrò subito, illuminando il suo stretto cammino. Dopo qualche minuto, il cunicolo si allargò tanto che Styrka poté alzarsi in piedi e camminare invece di strisciare. La galleria divenne una grotta, le cui pareti erano lisce e luccicanti come vetro bianco, mentre il soffitto era coperto da stalattiti che scendevano giù, coperte di condensa gocciolante. Un forte odore di menta aleggiava nell’aria e lì dentro faceva caldo. Styrka giunse infine ad uno slargo che terminava in una piccola piscina verde. Un laghetto dalle calme acque che invogliavano a fare un tuffo. Ed infatti, tentato dalle acque pulite e dal caldo, l’informe giovane si spogliò, si sedette sul bordo ed entrò nel laghetto con la gamba più corta. Stava per mettere anche l’altra in acqua quando un dolore feroce alla gamba malata lo bloccò come una statua, facendogli trattenere il respiro. Strabuzzando gli occhi, preda convinto di follia e allucinazioni, vide la gamba deforme allungarsi e diventare in pochissimo tempo come l’altra. Allora scattò in piedi, guardando giù e vide le sue due gambe, uguali. Forti e muscolose, degne di un corridore professionista. “Non posso crederci!-esclamò balbettando sotto shock- o sto sognando o è un miracolo!” Styrka tremava, toccandosi la gamba, un tempo inferma e ora perfetta. Poi cadde in ginocchio, con le mani sulla pietra della grotta, singhiozzando accoratamente. “Perché ora piangi?” chiese una flebile voce. Styrka sussultò, spaventato. Si accorse che non era solo, e goffamente si coprì con i suoi vestiti quando si accorse che dall’altra parte del laghetto, una strana ragazza lo guardava incuriosito. Aguzzò la vista e si accorse che sembrava una fanciulla, anche se in realtà ricordava una grossa rana; molto goffa, sgraziata e scialba. Era coperta da un lungo straccio sfilacciato, aveva la pancia gonfia e le braccia e le gambe secche e ossute. L’orrenda ragazza era senza collo e con due occhi brutti e sporgenti. Styrka quasi gridò per la paura ma si trattenne per dignità. “Allora? Non sei contento di essere guarito?” Chiese la donna terrificante che, sdentata, sorrideva timida, seduta anche lei vicino il bordo del laghetto. “E se vuoi vuoi-continuò seriamente-puoi guarire anche l’altro braccio e il viso. Basta che tu ti immerga completamente nell’acqua.” Styrka ingoiava a vuoto. Aveva un nodo alla lingua e si sentiva ancora sottosopra ma ritrovò la voce: “ Davvero?-chiese stralunato-posso guarire del tutto?” “Prova” lo incitò la ragazza-rana. Styrka lasciò cadere i vestiti a terra ed entrò in acqua. Dolori simili ai primi lo colpirono sul braccio malato e in piena faccia e sentì le ossa e la pelle tirare, quasi spaccarsi e fondersi, quando ad un tratto, sul pelo della superficie, il braccio infermo riemerse, ma uguale all’altro. Uscì prontamente dal laghetto, gocciolante e inginocchiato sul bordo si specchiò sull’acqua e un giovane sconosciuto ricambiò il suo sguardo. Solo che quell’uomo, bellissimo e abbagliante era lui. Due profondi occhi blu come il mare erano incorniciati da lingue scure di capelli ebano. Il profondo sguardo di Styrka lasciò l’acqua per fissare la ragazza. “Non so più se sono io-le disse sincero- e non conosco il motivo di questo miracolo. Mi puoi dire tu cosa è successo?” E si alzò in piedi, rivestendosi. L’imponente giovane, ora bello come il sole, tremava per l’emozione e il turbamento. “ E’ semplice-rispose la ragazza-il lago ha poteri di guarigione. Ma possono guarire solo coloro che lo meritano. Per i malvagi la fonte è semplice acqua comune. Tu hai un cuore buono e la sorgente ti ha voluto donare la salute e la bellezza.” Styrka, incuriosito allora domandò. “ Ma tu chi sei?” La ragazza, nel frattempo aveva raggiunto il giovane. E più si avvicinava, più diventava brutta. “Io sono la guardiana della fonte-rispose intristendosi e fermandosi vicino a lui. Le ossuta braccia si strinsero allo scarno petto, tenendo con le scheletriche mani, lo straccio che la copriva. Styrka le sorrise, malgrado la bruttezza. “Non so davvero come ringraziarti. Per tutta la vita sono stato umiliato e maltrattato per le mie deformità. Ora quasi non mi riconosco e sento nel cuore un’immensa gioia, come un fuoco che brucia. E non capisco nemmeno cosa mi succede, sono confuso, e non so e se questa è la realtà e ho paura che mi sveglierò e mi ritroverò ancora un mostro…ma tu….” E si interruppe imbarazzato. “Io cosa?-chiese la padrona della fonte-vuoi sapere perché l’acqua non funziona con me? Vuoi sapere perché sono ancora un mostro?” Il bellissimo giovane annuì. L’orrenda donna era molto perspicace. “Sono io che ho scoperto questa fonte- gli confessò la ragazza- tanti anni fa, e io non avevo questo aspetto. Ero una bellissima ragazza. Quando una mia pecora trovò l’accesso alla caverna, la inseguii fino a questa laghetto. Cadde in acqua e quando la tirai fuori era diventata bellissima. Mai visto una lana così soffice e bianca e anche gli occhi erano cambiati. La mia pecora ora aveva gli occhi celesti! Così capii che la fonte donava la bellezza e io superba e orgogliosa com’ero, volevo diventare ancora più bella. Ma la fonte non ama i duri di cuore, gli altezzosi e i cattivi e così mi ha punita. Mi ha reso la più brutta delle donne. E ora sono qui, a nutrirmi dei muschi che crescono nella grotta, dei piccoli pesci che nuotano nel laghetto, aspettando che qualcuno venga a liberarmi. Vedi la fonte non mi permette di andar via…ogni volta che ho tentato, non solo sono diventata più orribile, ma sono stata anche molto male.” Styrka che aveva un cuore buono le chiese immediatamente:” Posso farlo io! Come posso liberarti? C’è un modo?” La risposta che diede la ragazza cadde come un sasso nel laghetto. “Devi entrare nell’acqua con me e darmi la tua bellezza…io ridiventerò bella e tu deforme. E dovrai inoltre prendere il mio posto e rimanere qui per sempre. La fonte non vuole rimanere da sola.” Un silenzio agghiacciante scese fra i due. “Sai-continuò la ragazza- le poche persone che hanno scoperto questo luogo, sono guarite ma non mi hanno aiutato, e lo capisco. Chi potrebbe rinunciare alla propria bellezza e libertà per qualcun altro?” Styrka chinò il capo, smarrito. Quella donna aveva ragione, e lui che per tutta la vita aveva subito cattiverie e umiliazioni, non se la sentiva di rinunciare al suo bellissimo corpo e rimanere lì, solo, per sempre. “Mi spiace-mormorò affranto-io non so che dire….se ci fosse un altro modo, ti aiuterei, ma rimanere qui…tornare ad essere brutto e deforme. E’ un prezzo molto alto. Non ci riesco!” La donna lo salutò disperata: “ Allora vai…e ricorda, non svelare a nessuno il segreto della fonte, perché se racconterai quello che ti è successo e dove si trova, tornerai ad essere brutto come prima.” Styrka lasciò quella grotta con l’amaro in bocca. Sapeva che non era giusto prendere per sé senza dare… quella poveretta stava passando il resto della sua vita rinchiusa nella grotta, brutta, sola, abbandonata e lui non aveva fatto niente per aiutarla. Ora Styrka era diventato un bellissimo giovane e avrebbe avuto tutto il mondo ai suoi piedi, e si sarebbe rifatto dei dispiaceri, delle ingiustizie e delle umiliazioni subite, ma era cosciente di non essere abbastanza forte per rinunciare a tutto. Di grandi uomini, purtroppo ne nascono pochi e il fuoco fa distinguere sempre il ferro dall’oro.

venerdì 11 dicembre 2015

SUSSULTI DI VITA Era arrivata la fine del mondo. L’indomani sarebbe stato l’ultimo giorno del pianeta e quindi ci sarebbe stato il Giudizio Universale. Sulla terra era scoppiato il panico. Migliaia e migliaia di persone si battevano il petto, in ginocchio, per le strade, imploravano pietà. Tanti si fustigavano pubblicamente per far vedere che erano pentiti. Gli angeli avevano già aperto i cancelli del cielo e il regno delle tenebre era pronto per accogliere i malvagi. I cieli si erano spalancati e le mille verità nascoste all’uomo erano state svelate. Paura, orrore e raccapriccio scuotevano i cuori di milioni di uomini, gente persa che chiedeva pietà. Ma nel marasma totale, un bambino di nome Luca, tranquillamente, continuava a vedere un cartone animato alla televisione. Appariva sereno e pacifico mentre i genitori e i fratelli più grandi, terrorizzati, erano scesi in strada a pregare per la loro salvezza. Luca, spenta la tv era andato in cucina a prepararsi un panino poiché la madre non aveva preparato né la colazione né il pranzo. Era scesa la notte, per le strade, canti, preghiere, fuochi e violenza. Ma il bambino continuava a rimanere a casa. Durante il pomeriggio aveva fatto i compiti, poi si era seduto sul divano aspettando che almeno la sua mamma tornasse a casa. Ma le ore erano passate e nessuno dei suoi familiari si era fatto vedere, così stanco si era addormentato sul divano. Nei suoi otto anni non era mai rimasto solo un minuto a casa ma quel giorno nessuno aveva badato a lui. Dai vetri della sua casa aveva visto tanta confusione, le persone piangere, gridare, gesticolare, e quello spettacolo lo aveva turbato; eppure non provava quel terrore che ogni persona sentiva nel cuore. Sapeva che l’indomani sarebbe stato l’ultimo giorno della sua vita, che seppur breve, era stata serena. Fra le lacrime il papà aveva annunciato che sarebbe morti tutti, ma Luca, non aveva né pianto né gridato. Per lui morire era un concetto molto strano, quasi sconosciuto. Sapeva del paradiso, sapeva degli angeli, ma realmente non sapeva immaginare la sua morte. L’alba stava nascendo sui visi di miliardi di persone che, con gli occhi al cielo, guardavano in alto, pronti per il loro destino finale. Le folle cantavano inni alla misericordia, alla pietà e alla carità. Luca allora si era svegliato, infreddolito poiché aveva dormito senza coperte e aveva chiamato la sua mamma. Ma la casa era fredda e vuota, e allora si era sentito solo e abbandonato. Perché i suoi genitori non erano tornati? Si erano forse dimenticati di lui? E così un tremito aveva scosso il suo piccolo cuore. Preso il suo orsetto di peluche, era sceso in strada a cercare la sua mamma, e non avendola trovata, si era seduto davanti il portone di casa sua e si era messo a piangere. Non aveva paura di morire, come tutti gli altri. Aveva solo il terrore di non rivedere la sua mamma, così abbracciato al suo peluche, singhiozzava chiamandola accoratamente. Ad un tratto il cielo, rosso come il sangue, pian piano si scolorì, ritornando azzurro. Le tenebre, lentamente chiusero gli ingressi, i demoni scomparvero, le creature celesti, sulle maestose ali bianche, si allontanarono dall’umanità. Miliardi di persone videro con i propri occhi tornare alla normalità il nuovo giorno e capirono, fra le lacrime, che il Giorno del Giudizio era stato fermato. Era un miracolo, e tutti erano convinti che le preghiere dette, i loro canti e le promesse del loro pentimento avevano fatto avverare il prodigio. Ma nessuno aveva fatto caso al piccolo Luca che, disperato, aveva pregato il cielo affinché la sua mamma tornasse poiché l’amore che legava figlio e madre era grande più dell’universo. Nelle macerie di un mondo in rovina, quei sussulti di vita, briciole del grande amore, avevano fermato la morte per dare alla vita, un’altra possibilità.