mercoledì 24 marzo 2021

L'IDAGO INCONTRA ALDRUDA

Nella gelida Normandia, secoli fa, il paese di Rouen era scosso da numerose invasioni dei vichinghi. Ma fra loro, un coraggioso guerriero, stanco di guerre e conquiste conobbe, in quella cittadina, una splendida fanciulla e finì per stabilirsi con lei, fuori le mura del paese. La vita da contadino era ben impegnativa, dovendo lavorare la terra tutto l’anno, e affrontando le neve e gli animali feroci. Ma Bjorn e la sua giovane sposa furono fortunati perché allietati da numerosa prole e il raccolto fu sempre ricco. In più, l’ultima nascita si rivelò spettacolare… Nessuno aveva mai visto una bambina più bella. Dal padre aveva ereditato i lunghi capelli biondi e dalla madre lo sguardo di cielo. Fu chiamata Aldruda e crebbe forte e libera nei vasti prati di quella terra nordica. In una famiglia di contadini si lavora sempre e durante i lunghi inverni, quando la neve sembrava non smettere mai di cadere, ci si occupava del bestiame. Ma i ragazzi più grandi dovevano anche imparare i numeri e l’alfabeto, e Aldruda dotata di vivace intelligenza, sbirciava gli studi dei fratelli maggiori e riusciva ad imparare qualcosa. Erano ormai passate diciotto primavere dalla sua nascita e il padre Bjorn era molto contrariato poiché la figlia aveva rifiutato molti giovani e ricchi pretendenti, figli dei proprietari delle terre vicine. Ma quella sera, rientrando dai campi, aveva deciso. “Figlia-la chiamò, posando il mantello e avvicinandosi al fuoco del camino- devo informarti che ho accettato la proposta di matrimonio del figlio del mio caro amico George. Voi due convolerete a nozze domenica prossima.” La madre e Aldruda rimasero con le ciotole di legno sospese a mezz’aria davanti al grande tavolo di noce che stavano apparecchiando. I fratelli, discreti, si ritirarono al piano di sopra, ben conoscendo l’avversione della sorella per le unioni combinate. Nella grande stanza era sceso un silenzio assordante interrotto dallo scoppiettare del fuoco. Bjorn si levò le scarpe, carezzò i cani e si sedette della grande seggiola di legno. “Non dici nulla?” Chiese, non senza disagio. Sapeva che la figlia non voleva sposarsi ma lui voleva affidarla a qualcuno che le avrebbe assicurato cibo e protezione. Aveva aspettato anni, lasciandola maturare ma alla sua età tutte le ragazze erano già sposate e madri. La moglie non osò protestare ma la figlia disapprovò la decisione: “Padre…non amo quell’uomo e voi sapete che non mi sento pronta.” Un ringhio trattenuto precedette la replica: “Sì che sei pronta. E comunque ormai ho deciso. Hai tre giorni per abituarti all’idea-poi rivolgendosi alla moglie- Ho fame, servimi la cena.” Lo sguardo di Bjorn non ammetteva ulteriori discussioni e mentre la moglie Lilian, come un automa, scodellava la minestra, gli altri fratelli, scendendo le scale silenziosamente, presero posto a sedere ai lati della tavolata. Dopo l’orazione, tutti iniziarono a mangiare tranne Aldruda che, pallida e mesta, rimaneva assorta, non toccando cibo. Quella notte la ragazza non prese sonno, rigirandosi ininterrottamente fra le coperte di lana grezza, e l’indomani, all’alba, recandosi nei campi, era già stanca. L’ingiustizia le bruciava nel petto, mescolandosi alla paura del matrimonio e al rancore di essere stata trattata come un oggetto. E mentre falciava il fieno, pian piano, nella sua mente si stava faceva largo un’idea che, ad ora di pranzo, si era trasformata in una decisione presa. Al tramonto sarebbe fuggita via. Complice il buio, né suo padre né i suoi fratelli l’avrebbero più trovata. Molto meglio vivere nei boschi, come una vagabonda che diventare per forza moglie e madre. Finalmente un sorriso di sollievo le rischiarò il viso, senza sapere che qualcosa di straordinario era accaduto proprio in quel momento. Poche volte, dall’inizio dei secoli, la porta fra il pianeta terra e i regni magici sconosciuti si era aperta. Ma in quell’ attimo, l’Imperatore Idago aveva varcato l’ingresso del nostro tempo e della nostra realtà, ed era entrato. Per anni aveva cercato nel suo impero, una sposa degna del suo rango, ma ora aveva deciso di scendere nel pianeta inferiore, la terra. Fra gli esseri umani, magari qualche fanciulla poteva attirare la sua attenzione. Era una scelta di ripiego ma l’Imperatore era deciso, al più presto, a prendere moglie. Proprio nel momento in cui aveva varcato la soglia, trovandosi nella nostra rarefatta dimensione, aveva incontrato la fanciulla. Aldruda sorrideva per la decisione presa di fuggir via. L’Idago, alle sue spalle, era rimasto letteralmente abbagliato dai capelli, un manto d’oro che luccicava al sole. Non aveva mai visto niente di più bello. Silenziosamente e mimetizzandosi fra gli arbusti e il verde delle foglie, voleva scorgere il viso della ragazza. Impietrito, si era totalmente perso. Galvanizzato dalla pelle liscia come una distesa di candore, levigata e perfetta simile alle statue greche, quell’essere inferiore aveva la volta celeste nello sguardo. La stirpe regale, le immense ricchezze e i potenti poteri magici furono dimenticati all’istante dall’Imperatore, bruciati dall’attrazione feroce verso quell’umana plebea e priva di doni incantati. L’Idago ardente e sconvolto dall’effetto che gli provocava la ragazza, decise all’istante. Avrebbe portato quella giovinetta nei regni magici sconosciuti e ne avrebbe fatto la sua sposa. (Racconto e immagine di Lucina Cuccio)

venerdì 19 marzo 2021

L'IDAGO E LE MEMORIE DEL TEMPO

Gli spettri e i fantasmi della terra avevano da sempre, un loro rifugio personale dove si nascondevano quando l’Idago, Imperatore dei Regni Magici o Fresabonda, Regina delle Streghe, dava loro la caccia. Intricata e spettrale, la Foresta del Tempo imprigionava ogni essere vivente che osasse varcarla. Spettrali alberi di ferro crescevano formando gallerie infinite e sopra di essi, rami senza foglie che come mani silenziose, risucchiavano via le memorie dei malcapitati che si perdevano in quell’oscuro luogo. Solo i fantasmi, immuni al tempo, non perdevano i ricordi e quando si rintanavano in quella selva intricata, ascoltavano per giorni, le memorie che il tempo aveva rubato. I giorni felici, le avventure, le vittorie, gli amici, le esperienze, tutto veniva cancellato nella mente. Perfino l’Idago e Fresabonda non vi si avventuravano mai, sapendo la ben triste sorte di vivere senza ricordi. Il tempo aveva delegato la reggenza della foresta ad un diabolico essere infernale, Armisia, che senza sosta si aggirava per i corridoi di ferro, godendo dei lamenti di coloro che senza memoria, impazzivano. Ricoperta da capo a piedi con un fitto mantello di ragnatele, l’orrendo mostro avanzava lento fra i resti e le ossa dei miseri, mostrando solo le mani ossute e grinzose mentre gli occhi, rossi come tizzoni ardenti, si soffermavano curiosi, sulle prossime vittime. Ai suoi piedi, gli sventurati, vinti dalla sete, dalla fame e dalla disperazione, si accasciavano abbandonandosi contro i tronchi ferruginosi degli alberi. La loro morte sopraggiungeva, accompagnata sempre dalla stridula e infantile vocetta di Armisia che si divertiva a tormentarli fino alla fine. “Ti senti male?” Chiedeva come il trillo di un campanellino allo sventurato. “Come mai ti trovi qui?” Insisteva perfida, e ad un gemito dell’infelice che mormorava di non ricordare niente, si accompagnava, crudele, il ghigno di Armisia “Ma non rammenti nemmeno il tuo nome?” E giù, sghignazzi disumani che rimbombavano per i lugubri corridoi di piante. Così dall’inizio dei secoli, la foresta custodiva i ricordi, segreti importanti, che echeggiavano per l’eternità in quella terra buia e funesta. Il tempo era stato categorico con Armisia…Di tutte le memorie, le gioie erano le più preziose e dovevano essere le prime ad essere depredate. Nulla è più inestimabile della reminiscenza della felicità di aver abbracciato la mamma, o del viaggio con un amico o aver giocato con il proprio cane. La contentezza che si prova davanti ad un tramonto, o qualsiasi evento che porti il cuore in alto, facendolo librare. Armisia prendeva molto sul serio il compito, così le gioie erano i primi ricordi che rubava e in tanti secoli non aveva mai fallito. L’Idago avrebbe voluto sconfiggere un essere così malvagio e liberare infine i regni sconosciuti della magia da un simile luogo, ma perfino l’Imperatore rischiava di non uscire più da un siffatto labirinto. Ma la ricchezza e il potere hanno molti nemici, così in una notte senza luna, ai piedi delle Cascate d’ Argento, fra le grigie rocce e il tappeto del prato verde, si incontrarono la Regina delle Streghe, Nardis, Principe delle Paludi e Armisia, convocata per un patto straordinario con i due lestofanti. “ Altezza, ti ringraziamo di esserti unita a noi” l’accolse gaudiosa Fresabonda, nascondendo il ribrezzo alla vista delle migliaia di ragnatele impolverate, foglie secche e ragni morti che formavano il mantello del mostro. Le ossute mani lo lisciarono come seta preziosa mentre la bambinesca vocetta cinguettava “Spero ne varrà la pena. Il mio padrone gioirebbe nel possedere i ricordi dell’Idago e io vederlo morire fra i rovi della foresta. Sarebbe una gradevole vittoria.” Nardis, distogliendo lo sguardo dai sui occhi ipnotici che brillavano sanguigni, spiegò il progetto. “Il nostro piano è perfetto. Questa notte rapiremo la moglie dell’Idago e la porteremo nella vostra foresta. Sappiamo quanto l’Imperatore tenga alla sua sposa e cercherà di liberarla. Impiegherà un po’ di tempo per scoprire dove si trova. Nel frattempo vostra Signoria ruberà all’Imperatrice i ricordi e quando l’Idago la raggiugerà, scoprirà che ha perso la mente e la patria e lui stesso si affliggerà nel trovarla in quello stato. Certamente si tratterà qualche minuto nel tentativo di soccorrerla, così anche lui perderà i ricordi. Finalmente voi avrete le memorie di entrambi e quando moriranno, io e Fresabonda ci divideremo le loro ricchezze e i loro regni.” Una risata inquietante concluse il terribile accordo. “E io che credevo fra i tre, di essere la più malvagia! Ma voi mi offuscate.” Gracchiò Armisia, contenta del malvagio progetto. Ma prima di congedarsi avvisò: “Però siate precisi e prudenti. In una simile situazione qualsiasi errore può essere fatale e sareste voi a pagarlo.” I traditori annuirono e la videro allontanarsi lentamente mentre trascinava via rametti e fili d’erba che si imbrigliavano nello strascico del mantello. Nardis, roso ancora dall’umiliazione per l’incontro precedente con l’Idago, progettava già da tempo di rapire la moglie Aldruda. Il desiderio di vendicarsi era cresciuto da quando l’Imperatore lo aveva letteralmente buttato fuori dalla sua reggia per le troppe attenzioni rivolte alla sua sposa. Così il Principe delle Paludi aveva contattato Fresabonda ed insieme avevano progettato l’intero piano. Sfruttando la notizia che Aldruda e l’Idago non condividevano ancora il talamo, la notte stessa, complice l’assenza del re che sorvegliava i confini ovest, Nardis la rapì uccidendo i servi che vigilavano le regali stanze. Mentre la portava via era convinto di aver eliminato tutti i guardiani ma, fortunatamente quando poco dopo, tornò l’Idago un sopravvissuto, testimone malconcio del rapimento ma ancora vivo, riferì al suo padrone tutto, compreso la destinazione dove il Principe delle Paludi avrebbe abbandonato l’Imperatrice…Nella Foresta del Tempo. La notizia era preziosa e l’Imperatore volando veloce come il vento, raggiunse Aldruda, terrorizzata e sconvolta. Nardis e Fresabonda l’avevano appena abbandonata nel viale principale della Foresta. La povera ragazza si guardava intorno, circondata da scheletri sotto i minacciosi rami che incombevano su di lei. In lontananza Armisia stava per arrivare quando, proprio in quell’istante, l’Idago, agile e repentino raggiunse la moglie, la sollevò da terra e stringendola al petto, la innalzò superando i rami degli alberi e puntando il cielo scuro. In pochi attimi, erano lontani e al sicuro, e non sentirono gli strilli furiosi di Armisia che, fuori di sé, prendeva a calci le ossa abbandonate a terra e giurava vendetta contro Nardis e Armisia che, terrorizzati, fuggirono via. Mentre si librava nell’aria della notte, l’Idago raccontò alla sposa del pericolo della foresta e di ciò che sarebbe potuto accadere. In quel meraviglioso abbraccio, Aldruda sentiva il cuore dell’Imperatore battere forte, mentre l’aria gelida, giocava con i suoi capelli di seta e le sue vesti regali, ma lei, al sicuro, sta raggiungendo la reggia, stretta al marito. Il giuramento della vendetta di Armisia echeggiò nella foresta per sempre e il Tempo si premunì, vendicativo, affinché fosse il più forte di tutti i ricordi imprigionati e tormentasse il mostro in eterno, testimone del suo grande fallimento.

lunedì 8 marzo 2021

L'IDAGO E IL PRINCIPE DELLE PALUDI

I regni delle paludi si estendevano immensi e smisurati, dal deserto di Ghiaccio alle Foreste di Cristallo. Acquitrini e melma verdastra erano costantemente avvolti da una nebbia calda e umida che rendeva difficile distinguere ogni cosa. Gli specchi d’acqua stagnante riflettevano, sulla nera superficie, nodosi alberi limacciosi e i raggi del sole avevano abbandonato l’idea di illuminare quei vasti territori. Solo la luna piena, spavalda e coraggiosa, donava un po’ di luce azzurrognola a quei regni impregnati di fanghiglia e silenzio. Nardis, feroce principe di quei luoghi, per più di un secolo aveva tentato di convincere l’Idago ad allearsi con lui per combattere le streghe e gli elfi. Avevano nemici comuni e perché allora, non unire le forze? Si chiedeva spesso Nardis. Così per l’ennesima volta aveva inviato un messo per incontrare l’Idago, magica creatura e imperatore dei regni sconosciuti del pianeta, in una zona neutrale. Pochi giorni a seguire, aveva rinnovato l’intenzione. “Altezza-sussurrò un servo, inchinandosi davanti l’Idago e porgendo, su un vassoio d’oro cesellato, una lettera- è appena arrivato questo messaggio da parte del Principe Nardis. Il suo servo aspetta fuori le mura del palazzo, una risposta da parte di sua signoria.” Gli occhi celesti della magica creatura, brillarono, arguti. Sapeva perfettamente cosa bramava il Principe delle paludi. E gli smeraldi del nobile manto, luccicarono ancor più dello sguardo, mentre gli artigli reggevano delicati, la piuma con cui scriveva la risposta sulla pergamena che aveva subito richiuso. “ Se Nardis vuole incontrarmi che venga qui a palazzo.” Pensò l’Idago, volgendo lo sguardo sulla giovane moglie che, proprio in quell’istante, attraverso le vetrate di cristallo, passeggiava per le smisurate logge di marmo rosa che adornavano, principesche, i piani della regale dimora. Da pochi giorni si erano sposati e solo ora la fanciulla, ancora impaurita, aveva osato uscire dalle sue stanze. Dal giorno del matrimonio fino a quando avevano lasciato la caverna d’oro dove abitava prima, lo sposo non aveva potuto parlarle. L’Idago aveva rispettato la paura della moglie, e non le si era mai avvicinato. Avrebbe voluto conoscerla, chiederle i gusti e le preferenze, ma si era sempre tenuto a distanza, fidando sul fatto che poco alla volta, Aldruda, così si chiamava la giovine, si fosse abituata almeno alla sua presenza. Quella sera, per la prima volta, avevano diviso il pasto. Ai lati di una lunga tavolata in mogano, imbandita con prelibate pietanze, dove stoviglie d’oro e bicchieri di cristallo brillavano alla luce di monumentali candelabri d’argento, entrambi mangiavano silenziosamente, lei con il volto chino sul piatto e lui, che non la perdeva d’occhio neppure per un istante. In quel momento un servo portò la risposta del Principe delle paludi, tramite un nuovo messaggio. “Aldruda- sussurrò l’Idago, con una voce profonda e musicale- leggo ora che domani sarà nostro ospite il Principe Nardis, Signore delle paludi. Spero ti unirai a me, per accoglierlo.” La magica creatura aveva modulato la musica della sua voce, cercando un tono pacato, quasi dolce, proprio per non turbarla. La moglie sollevò lentamente il viso che, il fuoco scoppiettante del camino, illuminò finalmente. La pelle diafana era incorniciata da una chioma di seta dorata e gli occhi, verdi come la foresta, ombreggiavano timorosi, mentre ingoiava la risposta. Un breve cenno d’assenso comunicò all’Idago l’intenzione, mentre di nuovo, portando il cucchiaio alle labbra rosso rubino, fissava il piatto. Dopo il dolce, marito e moglie lasciavano la sfarzosa sala da pranzo e salendo una grande scalinata in marmo verde, accedevano al piano superiore, attraverso lunghi i corridoi decorati da arazzi e affreschi. Dopo un breve saluto impersonale, entrambi si ritiravano ognuno nelle proprie stanze. Negli appartamenti degli sposi, i camini scoppiettavano allegri, riscaldando i ricchi divani e le tende damascate che non lasciavano trasparire la notte stellata. Mentre Aldruda, pochi minuti dopo, sprofondava in un sonno senza sogni, a vari metri dalle sue stanze, l’Idago si rigirava fra le lenzuola di seta, non trovando pace. Lo sguardo correva dal letto a baldacchino, alle poltrone di velluto fino allo scrittoio in noce. In tre secoli, mai si era sentito così. Nonostante il suo potere e la sua forza, le smisurate ricchezze e il prestigio del suo casato, la giovane moglie lo temeva come una belva.” E c’è qualcosa in più- pensò improvvisamente saltando giù dal letto e avvicinandosi al camino-percepisco in lei, oltre la paura, anche una sorte di disprezzo…ma io non sono un animale. Discendo dalla più nobile stirpe dei regni sconosciuti e la morte e il ghiaccio mi hanno reso forte e potente. Ma lei mi vede semplicemente come un mostro.” Provando troppo caldo, l’Idago si allontanò di scatto dal fuoco. Le lunghe piume sfiorarono per un attimo, i tappeti persiani. Con passo regale, incedendo leggero, si avviò verso le tende che scostò. La gelida luna illuminò la splendida creatura, il rosso delle ali e il verde del manto. “Poche ore all’alba e Nardis sarà qui-rifletté tornando verso il letto- e l’unico pensiero che mi turba è mia moglie che dorme placidamente poco lontano da me.” Sdraiandosi di nuovo sotto la seta delle lenzuola, sperò che il sonno giungesse ma quella strana febbre che si era impossessata improvvisamente di lui, lo tormentava. Quella brace nel petto gli toglieva il respiro. Così, mezz’ora dopo, esasperato, correva libero nel buio del bosco, allontanandosi sempre più dal palazzo. Non era riuscito a dormire e la frustrazione lo aveva colto, prepotente. L’unico sfogo era l’inseguimento affannoso, attraverso gli alberi e i neri cespugli della foresta, di un po’ di pace. Quando i primi raggi del sole illuminarono le auree montagne che circondavano il palazzo, l’Idago fece il suo ingresso nella sala del trono, giusto in tempo per accomodarsi accanto alla moglie. Poco dopo, preceduto da servi che portavano in dono, forzieri ricolmi di gemme e oro, fece il suo ingresso il Principe Nardis. Lentamente, e regale, si diresse verso la strana coppia che lo osservava attenta. Lembi di pellicce diverse coprivano il capo, da cui, capelli come paglia, fuoriuscivano selvaggi. Il viso, splendido come una statua greca, salutava con un cenno, gli sposi, e il petto si ergeva, orgoglioso dove, la catena di ferro tintinnava contro il pendente di malachite, simbolo della reggenza. Il principe aveva sentito parlare della bellezza della moglie dell’Idago ma niente lo aveva preparato ad una simile visione. Il broccato rosa dell’abito lasciava intravedere un busto tornito e i diamanti blu che circondavano la bianca gola, sostenevano la smarrita bellezza di un viso d’angelo. “Tu sia il benvenuto- sussurrò l’ospite mentre osservava, teso, l’indugiare di Nardis, sulla gola palpitante di Aldruda. Trattenne il pensiero e il potere della sua mente per non renderlo cieco e pazzo. Ma cos’era mai quel nuovo sentimento, sconosciuto, che si stava facendo largo nel cuore? L’Idago bruciava di gelosia. “Come osa-pensò urlando dentro sé- guardare, con abbaglio, mia moglie? Odo il fremere del suo essere.” E benché sconvolto, si dominò e fece accomodare il Principe Nardis accanto a loro, determinato però a concludere al più presto quell’incontro. Quantunque li univano nemici comuni, che ognuno fosse libero di combattere come meglio desiderava. Non voleva alleati che bramassero, anche un solo sguardo, la bellezza di sua moglie. Seduto comodamente sulla poltrona di velluto, Nardis accavallò le gambe fasciata da pelli di alligatore. Le dita diafane, ingioiellate, tamburellavano sul bracciolo di tessuto rosso. Stava scegliendo le parole per persuadere il padrone di casa ad allearsi con lui anche se già percepiva un certo rifiuto. Tentò comunque: “ Ti ringrazio per l’accoglienza e l’ospitalità.” Lo sguardo dell’Idago scintillò mentre rispondeva: “ Prego. Io e mia moglie siamo lieti di accoglierti.” “Sono tanti anni ormai-proseguì imperturbabile- che cerco la tua alleanza per fronteggiare i nemici comuni.” Aldruda posò lo sguardo sul marito, distogliendolo dal Principe delle paludi. Era una conversazione fra capi di stato e lei si sentiva proprio fuori posto. Le sue umili origini continuavano a condizionarla. Nardis proseguì forte delle sue ragioni:” Ho saputo che la regina delle streghe ha stipulato un’alleanza con gli spettri dei mari, per poterci spodestare. Ora la sua forza potrebbe essere aumentata, per tal motivo insisto per un accordo fra noi.” Ciò che aveva appena raccontato il Signore delle paludi non intaccò minimamente la volontà di rifiutare, da parte dell’ospite, l’offerta ma proprio in quell’istante un servo, irruppe nella sala del trono richiamando l’attenzione: “Maestà, la Chimera insieme ad un esercito di elfi punta il palazzo. Sono vicini al confine ovest delle foreste.”L’Idago si alzò di scatto dal trono, avvicinandosi all’uscita della sala. “Scusate” mormorò contraendo la possente muscolatura. Ne approfittò subito il Principe, rinnovando il sodalizio e l’offerta di aiuto. “Non occorre-rispose l’Idago-difendo io le mie terre.” Allontanandosi velocemente dal palazzo, maledisse, librandosi in aria, il momento in cui aveva deciso di invitare alla reggia il Principe. Ma accettare ora il suo aiuto in guerra, significava stipulare un’alleanza che lui non voleva. Ma beffa del destino, per difendere il regno, aveva dovuto lasciare sola la moglie con Nardis. “La battaglia deve finire entro il tramonto!” Pensò spalancando le possenti ali e guadagnando più veloce l’orizzonte. In quel momento Aldruda, sentendosi responsabile, invitò Nardis a fermarsi per il desinare. Aveva percepito la riluttanza del marito nei riguardi del Principe ma il protocollo imponeva l’ospitalità. “Sono lieto di poter approfondire la vostra conoscenza-mormorò il Signore delle paludi rivolto alla padrona di casa, accarezzando con lo sguardo, l’oro della lunga chioma e accettando subito l’invito- ho sentito molto parlare di lei, maestà e quest’occasione mi riempie di letizia.” La ragazza, agitandosi sul trono, si lisciava l’abito. Imbarazzata cercava una risposta neutrale, e non ancora esperta dell’etichetta, sorrise incautamente. L’ospite, sentendosi incoraggiato, intavolò allora una serie di discorsi che spaziavano dalla letteratura alla poesia, cercando di intrattenerla. Dava sfoggio delle sue conoscenze, non dimentico di esprimere, ogni qualvolta la sua opinione. Ma lei avvertiva dietro quell’oceanica erudizione, una grande durezza d’animo. “Consapevole del suo potere ma lontano dalla vera regalità. “ Questa era l’opinione che si era formata di lui. Inoltre il fascino del Principe sembrava una leva su coloro che gli si avvicinavano, soggiogati dallo sguardo e dai perfetti lineamenti, tranne per lei. Giunse finalmente l’ora del pranzo e Aldruda e Nardis si accomodarono proprio dove la sera prima, l’Idago si era intrattenuto con la moglie. Ma la differenza era il palese tentativo di far conversazione a tutti i costi da parte del Principe. L’imperatore invece era stato molto più discreto. Nel frattempo, la battaglia fra l’Idago e gli eserciti degli elfi, infuriava. Fuoco, armi e sangue macchiavano la verde valle dove i nemici erano giunti. La Chimera cercava di trovare debolezze nell’imperatore, cercando di attaccarlo da più fronti, ma la forza del reggente era smisurata e così, in poche ore, il nemico era stato messo in fuga e il mitologico animale vinto. Senza perdere tempo, l’Idago spiccò il volo, con la forza del vento e della tempesta, allontanandosi dal campo di battaglia e giunse al palazzo in tempo per trovarsi davanti una scena apocalittica. A quanto pare il pranzo era finito e l’impudente Principe si era alzato dalla poltrona, si era avvicinato a Aldruda e le teneva la mano. La moglie, in un palese imbarazzo, cercava di sottrarla in tutti i modi. L’arrivo dell’Idago, proprio come una folata di vento, pioggia e foglie, spalanca una finestra, raggelò l’ambiente. Aldruda e il Principe si alzarono contemporaneamente. L’animale si avvicinò a loro come un predatore mentre Nardis, lentamente si allontanava dalla ragazza. “Altezza- mormorò senza perdere il controllo e sfoggiando una sicurezza che era ben lungi da provare-sono lieto che abbiate avuto la meglio sugli aggressori. Congratulazioni.” L’Idago lo gelò con il ghiaccio degli occhi. “Grazie. Non c’è voluto molto.” La moglie, sussurrando qualche parole di congedo, li lasciò soli. Era una fuga bella e buona. Scese un silenzio glaciale che Nardis tentò di rompere. “Così data la sua facile vittoria-continuò il Principe, cercando una scusa per allontanarsi prima possibile dal palazzo. Percepiva chiaramente il pericolo- l’offerta di un’alleanza penso sia superflua.” Le parole caddero a vuoto. Come un serpente fissa la preda così faceva l’imperatore. “Infatti- e sollevando il capo verde smeraldo aggiunse, trattenendo la tempesta che provava dentro- e se ora vuole scusarmi, vorrei ritirarmi. Ma prima la scorterò fuori le terre del palazzo.” Parole simili a pietre. Senza aspettare risposta, lo precedette fuori la sala da pranzo, guadagnando veloce l’atrio e il piazzale. Entrambi si muovevano spediti, e appena giunti al limite del bosco che circondava il versante nord dei giardini della reggia, l’Idago si bloccò di colpo e volgendo l’imponente corpo verso il Principe, lo congedò: “La invito a non avvicinarsi mai più al castello e soprattutto a mia moglie- minacciò furente- se mi accorgerò che anche un solo pensiero molesto verso Aldruda vi attraverserà la mente, nessun luogo, nei mondi sconosciuti, sarà un nascondiglio sicuro.” Continuò pietrificando anche l’aria intorno a loro: “Inoltre, prosciugherò le paludi delle sue terre, raderò al suolo i palazzi e i villaggi. Nessun essere vivente che le appartiene respirerà più a causa sua e tramuterò i fluidi del suo corpo in polvere del deserto. Ogni lembo della sua pelle sarà straziato e bruciato. La morte giungerà come una liberazione.” Senza dir altro, lasciando aleggiare nell’aria ancora questa terribile minaccia, l’imperatore puntò il nero del cielo e improvvisamente il Principe delle paludi si ritrovò solo, mentre la foresta intorno a lui, lo scrutava, minacciosa, obbediente a suo Signore.

venerdì 5 marzo 2021

#medusa

Medusa è uno dei miei personaggi preferiti. Mio fratello Giuseppe ha creato l'opera in bronzo...naturalmente è stata subito mia. Spesso vado ad ammirarla...in lei c'è la forza che vorrei avere io...soprattutto lo sguardo. Lucina Cuccio #lucinacuccio #clescartoons #personaggio #medusa

giovedì 4 marzo 2021

L'IDAGO E I LAGHI DI PIETRA

Il re Torraiolo era stremato. Per molte notti aveva dato ordini agli eserciti dei suoi elfi di difendere il castello, antica dimora di famiglia che si trovava vicino i laghi di pietra. Aveva saputo che il terribile Idago stava arrivando per conquistare il suo territorio. Gli altri sovrani elfi erano già stati sconfitti e si erano rifugiati al nord, fra i monti del ghiacciaio eterno e i loro eserciti erano stati dispersi dalla potente creatura. Molti soldati elfi erano stati uccisi, altri avevano perso il senno o la memoria poiché il loro sguardo aveva incrociato troppo a lungo quello dell’Idago che, in quell’attimo, aveva deciso di controllare le loro menti. Le armi del terribile animale non solo erano rappresentate dalla sua forza smisurata e dalla incredibile velocità che possedeva, ma soprattutto dal potere della mente che faceva vacillare chiunque lo guardasse in viso. Torraiolo però sperava che l’Idago giungesse prima ai laghi di pietra per poterlo fermare. Il castello dell’elfo era protetto da quelli che, per secoli, il popolo aveva definito “gli occhi della terra.” Enormi buchi rocciosi che contenevano sassi liquidi, azzurri come l’acqua. Ogni pozza era molto profonda e terminava con un immenso fondo nero come la pece. La chiara superficie ogni tanto si increspava a causa degli uccelli che, incauti, volavano sulle strane acque e cadevano paralizzati. Questo era il loro grande potere. I laghi di pietra bloccavano tutti coloro che non erano elfi e per tal motivo re Torraiolo aveva fatto edificare accanto a loro la sua dimora fatta da marmi neri e lucenti che rispecchiavano la sua buffa immagine, il verde della pelle e le orecchie a punto. Il sovrano amava il suo castello, enorme e maestoso e le cui torri quasi sfioravano le cime dei monti. L’Idago, volando basso, aveva appena superato gli alberi bitorzoluti del bosco di cristallo. Ogni pianta era fatta da tronchi sottili e foglie a forma di cuore. Qualsiasi albero che cresceva vicino il reame di Torraiolo stranamente mutava. Perfino gli arbusti, i cespugli e i fiori assumevano una strana rigidità…come se fossero delle pietre, dure e rigide e finanche il vento, in quella parte del bosco, cadeva. Un silenzio profondo avvolgeva quegli strani luoghi. E infatti l’Idago, avvicinandosi a quei luoghi, immediatamente interruppe la sua corsa, percependo nel cuore, ansia e inquietudine. L’odore del pericolo lo fece fermare e acquattare. Subito le ali si chiusero, avvolgendolo come un manto rosso. In lontananza osservò il castello di Torraiolo, circondato da monti e laghi azzurri. La volontà incitava l’animale a puntare dritto verso la dimora reale per conquistarne il territorio, però l’istinto gli impedì di muoversi. C’era qualcosa di spaventosamente strano in quei posti e l’Idago percepì una terrificante minaccia. Un pericolo che aspettava solo che lui si avvicinasse di più al castello. Nel frattempo Torraiolo ordinò ai soldati di catturare la creatura appena si fosse paralizzata nei pressi dei laghi di pietra. Le ore erano passate, e della magica creatura, si erano perse le tracce. Il re aveva perso la pazienza e ora sbraitava contro il generale delle guardie di prima linea: “ Siete dei buoni a nulla! Dei lavativi-Torraiolo si agitava come un ossesso- mi dici dove diavolo è finito l’Idago?” Il generale balbettava: “ Sire, lo abbiamo atteso sul confine sud, certi che avrebbe puntato al castello, ed invece non è arrivato. Non sappiamo ora dove si trova…il mio luogotenente suggerisce che forse si è ritirato. Probabilmente intimorito dallo spiegamento di tutti gli eserciti ha preferito tornare indietro e lasciare il regno. Però il mio aiutante non ne è certo.” “Idioti-il reale elfo si avvicinò al generale al punto che le antenne che entrambi avevano sulla testa, si sfiorarono-L’Idago è l’essere più potente dei regni…è l’animale più forte che mai sia stato generato. Il mio regno è l’ultimo che gli rimane da conquistare e tu credi che si ritiri senza combattere?” Il generale bofonchiava: ”Allora può darsi che abbia percepito il pericolo dei laghi di pietra e ci aspetti ai margini del bosco di cristallo per farci un’imboscata. Lì il flusso paralizzante dei laghi non arriva.” Torraiolo tacque, riflettendo sull’ipotesi del militare: “ Non credo-rispose però turbato- nessuno conosce il potere dei laghi poiché solo gli elfi ne sono immuni e ogni essere vivente, pianta o animale, vicino ai laghi si paralizza. Questo segreto non è mai uscito dal mio regno. Come può l’Idago esserne venuto a conoscenza?” Il Generale tacque e così anche il re che poi aggiunse:” Fai perlustrare tutto il territorio e assicurati che l’animale sia andato via. Solo in questo modo mi posso tranquillizzare.” Il militare fece eseguire l’ordine senza sapere che l’Idago invece si era nascosto nel folto del bosco, mimetizzandosi fra l’erba, proprio come aveva ipotizzato lui. Le guardie però non lo videro e così la sera, giunse la falsa notizia che la potente creatura aveva lasciato il regno. Torraiolo esultava felice, convinto che l’animale, preda della paura, avesse avuto timore di battersi e fosse fuggito. Non sapeva però che l’astuto essere lo stava aspettando ai confini del bosco di cristallo per poter influenzare la sua mente, e strappargli tutti i poteri regali degli elfi, compresa l’immunità dei laghi di pietra. Così Torraiolo, l’indomani, volle percorrere personalmente, insieme alle sue guardie, i confini del suo territorio per accertarsi che tutto fosse tornato alla normalità, quando improvvisamente l’Idago sbucò dal folto del bosco. Le guardie, terrorizzate, lo fissarono per pochi secondi e fuggirono via, pazzi di orrore e sgomento. Le loro menti, confuse e stordite, persero il senno e la memoria. Il re elfo, nel panico, tentò di fuggire ma la magica creatura lo raggiunse immediatamente. Resosi conto che era stato sconfitto, il re Torraiolo si inginocchiò davanti l’Idago e gli consegnò lo scettro, cedendo all’animale ogni potere e forza della sua condizione di elfo reale. La potente creatura conquistò l’ultimo territorio su cui non comandava e divenne così il sovrano assoluto di tutti i regni magici della terra.

L'IDAGO RICONQUISTA IL PALAZZO

La regina delle streghe era inferocita. Aveva saputo che l’Idago, re dei mondi magici della terra, era riuscito a scappare dalla caverna dove lei e i sovrani degli elfi l’avevano imprigionato. Ora stava arrivando per riprendersi il suo palazzo, splendido edificio di marmo rosa e oro bianco che brillava nel mezzo della foresta dei pini d’argento. “Quella vipera della moglie è riuscita a far cadere le sbarre di odio e rancore che bloccavano l’uscita della caverna-urlò la regina delle streghe, Fresabonda- e ora l’Idago sta arrivando qui. Cosa facciamo?” Con lo sguardo avido, la sovrana rimirò lo splendido salone da ballo. Una grande sala cinta da specchi e azzurre finestre che si affacciavano sui giardini del palazzo. Il pavimento dorato brillava bianco e fulgido, in contrasto con il soffitto affrescato da splendide figure di animali e fiori. La strega amava quella ricchezza e andava matta per l’oro e i brillanti che decoravano i fregi di ogni ambiente del palazzo. “Questa è la sua casa-obbiettò Torraiolo, uno dei sovrani degli elfi- è normale che la voglia riconquistare e tu sai benissimo che noi l’abbiamo imprigionato con l’inganno, per rubargli i regni e la sua dimora. Quindi l’unica cosa da fare è fuggire e rifugiarci al nord, sperando che non ci raggiunga.” “Mai-esclamò Fresabonda furiosa- non lascerò mai questo palazzo! Io dico invece di restare e combattere!” “Combattere?- chiese balbettando Torraiolo esterrefatto- Tu sei pazza! Nessuno dei nostri eserciti, uniti insieme, è in grado di sconfiggere l’Idago. Per non parlare dei suoi magici poteri. Sai bene che la morte lo protegge ed è in grado, con il solo sguardo, di far impazzire chiunque. La sua mente è troppo potente e la sua forza infinita!” La strega lo guardò con odio. Disprezzava la codardia dell’elfo. Gli altri re non avevano tanta paura, e Fresabonda avrebbe voluto litigare e convincere Torraiolo a combattere, ma il tempo era poco e bisognava decidere in fretta poiché la bestia stava arrivando. Così la maga si alzò dal trono dove un tempo sedeva l’Idago, e si diresse fuori dalla sala dove la stavano aspettando i comandanti in capo degli eserciti degli elfi e delle fattucchiere. In migliaia attendevano la loro decisione. Ad un certo punto si bloccò a pochi metri dalla porta. “Io dico invece di combattere! Esclamò decisa la regina delle streghe- e se tu hai paura, puoi anche ritirarti…! Però se vinciamo, il bottino lo dividiamo senza di te!” Torraiolo strinse le buffe labbra. Gli elfi erano strane creature, con le orecchie lunghe come asini, naso a punta e capelli verdi. Sembravano tanti bambini cresciuti, con quegli abiti di pelle e i mantelli color delle foglie. Entrambi erano avidi e assetati di potere e comandare i regni dell’Idago era il sogno di tutti i sovrani della terra. Torraiolo non voleva perdere ciò che aveva guadagnato con l’inganno e benché temesse l’animale e i suoi poteri, si sentì con le spalle al muro. Per niente al mondo avrebbe rinunciato alla sua parte di bottino. “E va bene-bofonchiò-riuniamo gli eserciti e lo attacchiamo. Ma ricordati quello che ti dico…L’Idago ci sconfiggerà! E sarà un miracolo che non ci ucciderà tutti!” Fresabonda raggiunse allora la porta dorata porta che accedeva alla sala attigua dove i vicecomandanti degli eserciti stavano aspettando gli ordini. Urlò loro di attaccare e combattere la bestia. Così in pochi secondi, grida di rabbia e incitamento percorsero le sale fino a fuori l’edificio e le armate, eccitate e rabbiose, guidarono contro l’Idago per sconfiggerlo. Gli eserciti delle streghe e degli elfi intercettarono la bestia vicino le foreste dei pini d’argento che circondavano il palazzo, ma l’impatto fra l’animale e i combattenti fu terribile. Veloce come la luce e forte come le montagne, l’Idago disperdette via, in pochi minuti, migliaia di elfi e streghe. Tentarono di trafiggergli la schiena e il petto con lance e frecce, ma abile e scattante, la magica creatura si sollevava in aria con le robuste ali rosse, per poi fiondarsi a picco contro i guerreggianti, spazzandoli via. Furono sconfitti in poco tempo e i superstiti delle armate si diedero alla fuga. L’Idago li lasciò scappare ma inseguì la regina Fresabonda poiché sapeva che lei era la vera artefice di quella battaglia. Il cuore della strega era assetato di ricchezza e smanioso di potere, e pur di non perdere ciò che aveva rubato, aveva convinto Torraiolo a scendere sul campo di battaglia. La regina si precipitò fuori dal palazzo, affannata e sudata, ma sentiva la bestia guadagnare terreno. Durante la battaglia si era nascosta nelle armerie dell’edificio, ma sapendo che tutti gli eserciti erano stati sconfitti, aveva deciso di darsi anche lei alla fuga. Ma l’Idago non voleva lasciarla andare e la raggiunse in pochi secondi, piombando su di lei. Il suo sangue colorò di rosso il verde del prato.

NELLE MANI DELL'IDAGO

Fra le creature della foresta, l’Idago era una delle più terribili. Feroce e crudele come la morte, era riuscito ad arrivare al comando di tutti gli elfi, le streghe e i fantasmi della terra. Solo a nominare il suo nome, le foglie degli alberi cadevano e i laghi si prosciugavano. I fiumi si gelavano come investiti da una glaciale tormenta di neve. Ogni animale che incontrasse l’Idago rimaneva immobile, paralizzato dalla paura dei suoi occhi di ghiaccio, mentre coloro che si fermavano a guardarlo un solo istante di più, impazzivano e perdevano la memoria poiché lo sguardo del terribile essere stregava i sensi e comandava la volontà. Era un re senza castello ma con milioni di sudditi, vivi e morti. Nessun uomo era mai riuscito a vederlo da vivo. Solo i fantasmi potevano vederlo e ne erano terrificati. L’Idago era figlio di un imperatore puma e di un’aquila reale, allevato dal ghiaccio e dalla morte. Gli era stato insegnato ad non aver paura di niente, ad essere crudele e spietato. Dopo tre secoli dalla sua nascita, aveva sottomesso i sovrani degli elfi e la regina delle streghe, così lui stesso aveva assoggettato tutti i regni magici della terra. La morte gli aveva regalato il potere di comandare ogni spirito dell’aldilà che non avesse raggiunto la sua destinazione finale mentre il padre e la madre gli avevano trasmesso la crudele bellezza degli animali. L’Idago non aveva nome, e d'altronde non gli serviva poiché nessuno osava rivolgergli la parola. Imponente e muscoloso, volava basso e veloce, silenzioso come la neve. Aveva artigli più affilati di lame, denti aguzzi come coltelli ma piume morbide e setose, rosse come sangue. Su ogni parte del corpo, verde come le foreste, piccoli smeraldi splendenti. Le ali era grandi e forti e camminava leggero, ma era vigoroso come mille leoni e resistente come il ferro. Nessun essere vivente era in grado di ucciderlo, poiché il suo cuore era protetto dal ghiaccio e dalla morte. Così gli elfi erano piombati nella paura e le streghe si nascondevano nelle valli solitarie pur di non incontrarlo. La feroce creatura si nutriva di spine, uccelli e serpenti. Non conosceva la pietà e non aveva mai provato tenerezza o amore. Era solo come un monarca, ombroso e duro. Padrone per metà del mondo, sentiva però che qualcosa mancava al suo impero. Tutto il potere accumulato doveva tramandarlo ad un suo simile, ma lui era unico al mondo. Non esisteva altra creatura come lui. Così decise di catturare un essere vivente per farne la sua sposa e avere un figlio. Elfi e streghe non lo attiravano così cominciò a cercare una donna che fosse bella, di sangue nobile ma crudele come lui. Trovò tante fanciulle che incontravano i suoi gusti, di nobile lignaggio, figlie di re e imperatori, quando un giorno vide una bellissima ragazza che zappava la terra. Non era né nobile né crudele ma bella come un raggio di sole e sentendola parlare con le altre persone, buona come l’amore. Per la prima volta la terribile creatura si innamorò di un altro essere vivente. L’Idago era terrorizzato…perché mai si sentiva così strano? Nel petto, il suo cuore andava a fuoco, il respiro era affannoso e brividi di piacere percorrevano il suo corpo piumato. Dimenticò l’umile origine della fanciulla, figlia di un contadino, così la sera la rapì portandola nella sua caverna, fra le foreste della Russia. Da secoli viveva in quella caverna sconosciuta, ricoperta da pelli di animali e decorata da pietre preziose. La ragazza, poverina si ritrovò sola, nelle mani dell’Idago, senza sapere chi fosse e cosa volesse da lei. Il posto dove l’aveva portata era caldo per via dei fuochi accesi all’interno e reso luminoso dalle migliaia di rubini e diamanti che brillavano. Tremante chiese, stringendosi le braccia al petto: “Chi sei e perché mi hai portato qui?” L’Idago fiutò la sua paura ma decise di essere sincero. Cercava di non usare i suoi poteri per influenzarne la mente e la volontà. Desiderava che la fanciulla rimanesse lucida e cosciente di sé stessa, ma era totalmente soggiogato dalla bellezza della ragazza. Ciò che lui stava provando aveva zittito la crudeltà del suo cuore. Così con voce profonda le disse: “ Sono il padrone di tutti i regni sconosciuti della terra e comando gli elfi, le streghe e gli spiriti. Ho diritto di decidere la vita e la morte di chiunque e sono di nobile stirpe, ma ho bisogno di tramandare il mio potere e la mia ricchezza e poiché non ho un erede ho deciso di sposarti e avere un figlio da te. La tua bellezza mi ha fatto dimenticare che non sei di sangue blu e crudele come me. Ma appena ti ho vista ho stabilito che saresti stata la mia sposa.” La fanciulla sgranò gli occhi inorridita. Pensò: “ Sposare un animale, che benché molto bello, rimaneva una bestia? Terribile!” Non le importava se aveva poteri soprannaturali, ricchezze infinite, ed era un re. Non le importava neanche se era un bellissimo animale. Lei era un essere umano nelle mani di un pazzo. L’Idago quasi leggendole nella mente aggiunse: “Non devi aver paura di me, non ti farò del male e come mia moglie, avrai tutto ciò che desideri. Sarai rispettata, ma ciò che pretendo da te è la tua fedeltà. I miei sudditi non mi amano e non sono miei amici. Quindi non avrai contatti né con gli elfi né con le streghe poiché essi non aspettano altro che ribellarsi e spodestarmi dal potere. Vogliono le mie ricchezze e la mia reggenza.” La fanciulla si guardò allora intorno. Preziose pelli di animali fissate alle pareti e pietre preziose, ma quel posto rimaneva sempre una caverna. L’Idago sorrise ed aggiunse: “ E non preoccuparti per questa caverna. Non vivrai qui… farò al più presto costruire un palazzo dove potrai abitare ed esserne la regina. Non ti mancherà nulla, te lo prometto. Ciò che solo desidero è che tu rimanga accanto a me per il resto della tua vita…Ti chiedo troppo?” La fanciulla non rispose ma chinò la testa in segno di assenso. Aveva accettato le condizioni dell’animale. D'altronde non aveva alternative ma un profondo senso di rabbia e ingiustizia le invasero l’anima. Era un ultimatum e lei, in fondo, non aveva scelta. Così dopo pochi giorni L’Idago sposò la fanciulla, e pochi mesi dopo, la portò a vivere in un immenso palazzo di marmo rosa e oro bianco, costruito dagli elfi e dalle streghe e nascosto dai boschi. Era inaccessibile a qualsiasi essere umano. Oramai sposa del mostro, la fanciulla però era circondata da agi e ricchezze infinite. Il suo sposo la colmava di premure, le faceva mille regali, era gentile e affettuoso. Abiti sfarzosi, cibi sopraffini. Nulla le era negato e l’Idago stesso le raccontava storie bellissime ed avventure. Ma, nonostante tutto, essa continuava a covare nel cuore rancore e rabbia. Non gli aveva perdonato di essere stata strappata con la forza dalla sua famiglia, dalla sua terra e soprattutto essere stata costretta a sposarlo. Così si rivolse di nascosto ai sovrani degli elfi e alla regina delle streghe per far imprigionare l’Idago, e in cambio, farla fuggire. Lei avrebbe ceduto tutte le ricchezze, il palazzo e i regni del marito. Così la sera del tradimento, la fanciulla fece bere all’Idago, mescolato nel vino, una pozione che le streghe le avevano dato per farlo dormire profondamente. Appena addormentato, decine di elfi e streghe lo portarono nella sua vecchia caverna e bloccarono l’ingresso con sbarre magiche fatte di odio e ira. L’animale era schiavo di sé stesso ed infatti quando si svegliò dal sonno profondo, impazzì di rabbia, e nel veder allontanare la sposa che tornava alla sua casa, le gridò come un forsennato: “ Io ti amavo e non ti ho mai fatto niente di male! Ti ho dato tutto ciò che avevo e mi hai tradito. Mi hai fatto imprigionare dai miei nemici! Ti avevo donato il mio cuore e mi hai pugnalato alle spalle.” La ragazza si tappò le orecchie alle urla del marito. Le era costato averlo consegnato nelle mani dei suoi nemici, lo aveva fatto soprattutto per orgoglio e per vendicarsi di essere stata costretta a sposarlo contro la sua volontà, ma ora vederlo prigioniero, e il suo palazzo invaso da elfi e streghe che festeggiavano la vittoria, iniziò a dolerle il cuore. Ad ogni passo, punte di pentimento e pena le pungevano il cuore. Si sentiva in colpa e giorni dopo, appena arrivata a casa, si era già pentita di ciò che aveva fatto. Ma ormai non c’era più nulla da fare, e la famiglia la riaccolse con gioia. La fanciulla riprese la sua solita vita, fatta di lavoro, fatica e miseria. Ma qualche settimana dopo si accorse di essere incinta. Erano tanti giorni che aveva nausea e le girava la testa. Un tempo sarebbe impazzita di orrore e paura nel dare alla luce chissà quale mostro, ora invece ne era contenta poiché in tutti quei mesi non aveva fatto altro che pensare all’Idago, alla sua gentilezza, alle sue premure e ai mesi che insieme avevano trascorso nel loro palazzo. Incredibile a dirsi, la ragazza si era innamorata del marito. Pochi mesi dopo, di nascosto a tutti i suoi familiari che non si erano accorti della gravidanza, in una vecchia capanna del bosco, la fanciulla diede alla luce da sola il figlio dell’Idago. Non era un animale, non aveva ali, né artigli, ma era un bambino come gli altri. Aveva solo gli occhi uguali al padre, chiari come il ghiaccio. Ma era un bambino bellissimo, più bello di qualsiasi neonato mai visto ed era l’erede legittimo dei regni del marito. Fu in quel minuto, nell’attimo esatto in cui lo prese fra le braccia che la ragazza decise di tornare dall’Idago, liberarlo e fargli vedere il figlio che aveva sempre desiderato. Tornò nella casa dei suoi genitori con il bambino, raccontò loro tutta la storia, quindi li abbracciò e li salutò per l’ultima volta. Aveva deciso di tornare indietro, chiedere perdono al marito per il suo tradimento e dare una famiglia al bambino. Quel bimbo così amato e così bello aveva diritto a stare anche con il padre, vivere nel suo palazzo ed avere una vita serena e felice. Così, lasciata la casa dei genitori, con il bambino fra le braccia, camminò vari giorni, dirigendosi verso la caverna dell’Idago. Ogni tanto si fermava, puliva il figlio e gli dava il latte. Lo baciava e coccolava, fiera di aver dato alla luce un bambino così bello e perfetto. Il cammino era lungo, e molte volte la ragazza dovette nascondersi perché aveva visto arrivare qualche strega o un elfo. Aveva paura che le impedissero di liberare il marito. Quando arrivò davanti l’ingresso della caverna, l’Idago la aspettava davanti alle sbarre poiché aveva fiutato già il suo arrivo. Era ritto, tetro e ombroso, lo guardo duro come il granito. La fanciulla nascondeva il bimbo alla vista del padre. Giunta davanti lui, con un nodo in gola, mormorò pentita, timide scuse: “ Perdonami- gli disse contrita- per tutto ciò che ho fatto. Ho voluto soddisfare la mia sete di vendetta, ma ho capito che stavo sbagliando subito dopo essere andata via…” L’Idago taceva. La ragazza gli si inginocchiò davanti, piangendo. “ Scusami-implorava- io ti amo…ora ti amo. Ho impiegato un po’ di tempo a capirlo, ma ti giuro che è vero!” Silenzio fra i due. Allora la fanciulla scostò la coperta nella quale teneva nascosto il neonato e aggiunse:” Questo è tuo figlio…quel figlio che hai sempre desiderato e che ti appartiene. Nella vene scorre il tuo nobile sangue ed è il tuo legittimo erede.” Il bimbo aprì gli occhi e si specchiò negli stessi occhi del padre. La rabbia e il rancore dell’Idago si sciolsero immediatamente alla vista del bimbo e lo riconobbe subito come suo. Aveva i suoi stessi occhi e il medesimo odore. Sorrise alla moglie e in quell’istante le sbarre di ira e rabbia che lo tenevano prigioniero caddero a terra. L’amore e il perdono avevano liberato l’Idago che abbracciò la sua famiglia. Mille spiegazioni, mille parole e marito moglie, per la prima volta, gioirono uniti nell’abbracciare il bambino. Il crudele cuore del re era stato conquistato dall’amore e dall’ indulgenza. Qualsiasi barriera al mondo può essere superata dal cuore. L’Idago nascosta la moglie e il figlio nella caverna, velocemente si diresse al suo palazzo e facilmente si liberò degli elfi e delle streghe. Poche battaglie e i suoi nemici erano in fuga e sconfitti. Pochi giorni dopo la fanciulla con il marito e il figlio, tornarono a vivere nel palazzo di marmo e oro bianco, e si amarono per il resto della vita. Nel cuore dell’Idago finalmente albergarono la pace e l’amore. La crudeltà e la morte erano state sconfitte, e la fanciulla fu felice di affidare la sua anima e la sua vita nelle mani del marito e anche di dargli un nome. Il nome dell’Idago fu Lyubov, che in russo significa amore. Il bambino, principe dei regni della magia, crebbe in grazia e bellezza. Guidato dall’amore della madre e dalla forza del padre, divenne un re giusto e stabilì patti di pace con gli elfi, le streghe e i fantasmi. Non usò la cattiveria e la crudeltà per comandare, ma la giustizia e la bontà.