mercoledì 24 marzo 2021

L'IDAGO INCONTRA ALDRUDA

Nella gelida Normandia, secoli fa, il paese di Rouen era scosso da numerose invasioni dei vichinghi. Ma fra loro, un coraggioso guerriero, stanco di guerre e conquiste conobbe, in quella cittadina, una splendida fanciulla e finì per stabilirsi con lei, fuori le mura del paese. La vita da contadino era ben impegnativa, dovendo lavorare la terra tutto l’anno, e affrontando le neve e gli animali feroci. Ma Bjorn e la sua giovane sposa furono fortunati perché allietati da numerosa prole e il raccolto fu sempre ricco. In più, l’ultima nascita si rivelò spettacolare… Nessuno aveva mai visto una bambina più bella. Dal padre aveva ereditato i lunghi capelli biondi e dalla madre lo sguardo di cielo. Fu chiamata Aldruda e crebbe forte e libera nei vasti prati di quella terra nordica. In una famiglia di contadini si lavora sempre e durante i lunghi inverni, quando la neve sembrava non smettere mai di cadere, ci si occupava del bestiame. Ma i ragazzi più grandi dovevano anche imparare i numeri e l’alfabeto, e Aldruda dotata di vivace intelligenza, sbirciava gli studi dei fratelli maggiori e riusciva ad imparare qualcosa. Erano ormai passate diciotto primavere dalla sua nascita e il padre Bjorn era molto contrariato poiché la figlia aveva rifiutato molti giovani e ricchi pretendenti, figli dei proprietari delle terre vicine. Ma quella sera, rientrando dai campi, aveva deciso. “Figlia-la chiamò, posando il mantello e avvicinandosi al fuoco del camino- devo informarti che ho accettato la proposta di matrimonio del figlio del mio caro amico George. Voi due convolerete a nozze domenica prossima.” La madre e Aldruda rimasero con le ciotole di legno sospese a mezz’aria davanti al grande tavolo di noce che stavano apparecchiando. I fratelli, discreti, si ritirarono al piano di sopra, ben conoscendo l’avversione della sorella per le unioni combinate. Nella grande stanza era sceso un silenzio assordante interrotto dallo scoppiettare del fuoco. Bjorn si levò le scarpe, carezzò i cani e si sedette della grande seggiola di legno. “Non dici nulla?” Chiese, non senza disagio. Sapeva che la figlia non voleva sposarsi ma lui voleva affidarla a qualcuno che le avrebbe assicurato cibo e protezione. Aveva aspettato anni, lasciandola maturare ma alla sua età tutte le ragazze erano già sposate e madri. La moglie non osò protestare ma la figlia disapprovò la decisione: “Padre…non amo quell’uomo e voi sapete che non mi sento pronta.” Un ringhio trattenuto precedette la replica: “Sì che sei pronta. E comunque ormai ho deciso. Hai tre giorni per abituarti all’idea-poi rivolgendosi alla moglie- Ho fame, servimi la cena.” Lo sguardo di Bjorn non ammetteva ulteriori discussioni e mentre la moglie Lilian, come un automa, scodellava la minestra, gli altri fratelli, scendendo le scale silenziosamente, presero posto a sedere ai lati della tavolata. Dopo l’orazione, tutti iniziarono a mangiare tranne Aldruda che, pallida e mesta, rimaneva assorta, non toccando cibo. Quella notte la ragazza non prese sonno, rigirandosi ininterrottamente fra le coperte di lana grezza, e l’indomani, all’alba, recandosi nei campi, era già stanca. L’ingiustizia le bruciava nel petto, mescolandosi alla paura del matrimonio e al rancore di essere stata trattata come un oggetto. E mentre falciava il fieno, pian piano, nella sua mente si stava faceva largo un’idea che, ad ora di pranzo, si era trasformata in una decisione presa. Al tramonto sarebbe fuggita via. Complice il buio, né suo padre né i suoi fratelli l’avrebbero più trovata. Molto meglio vivere nei boschi, come una vagabonda che diventare per forza moglie e madre. Finalmente un sorriso di sollievo le rischiarò il viso, senza sapere che qualcosa di straordinario era accaduto proprio in quel momento. Poche volte, dall’inizio dei secoli, la porta fra il pianeta terra e i regni magici sconosciuti si era aperta. Ma in quell’ attimo, l’Imperatore Idago aveva varcato l’ingresso del nostro tempo e della nostra realtà, ed era entrato. Per anni aveva cercato nel suo impero, una sposa degna del suo rango, ma ora aveva deciso di scendere nel pianeta inferiore, la terra. Fra gli esseri umani, magari qualche fanciulla poteva attirare la sua attenzione. Era una scelta di ripiego ma l’Imperatore era deciso, al più presto, a prendere moglie. Proprio nel momento in cui aveva varcato la soglia, trovandosi nella nostra rarefatta dimensione, aveva incontrato la fanciulla. Aldruda sorrideva per la decisione presa di fuggir via. L’Idago, alle sue spalle, era rimasto letteralmente abbagliato dai capelli, un manto d’oro che luccicava al sole. Non aveva mai visto niente di più bello. Silenziosamente e mimetizzandosi fra gli arbusti e il verde delle foglie, voleva scorgere il viso della ragazza. Impietrito, si era totalmente perso. Galvanizzato dalla pelle liscia come una distesa di candore, levigata e perfetta simile alle statue greche, quell’essere inferiore aveva la volta celeste nello sguardo. La stirpe regale, le immense ricchezze e i potenti poteri magici furono dimenticati all’istante dall’Imperatore, bruciati dall’attrazione feroce verso quell’umana plebea e priva di doni incantati. L’Idago ardente e sconvolto dall’effetto che gli provocava la ragazza, decise all’istante. Avrebbe portato quella giovinetta nei regni magici sconosciuti e ne avrebbe fatto la sua sposa. (Racconto e immagine di Lucina Cuccio)

venerdì 19 marzo 2021

L'IDAGO E LE MEMORIE DEL TEMPO

Gli spettri e i fantasmi della terra avevano da sempre, un loro rifugio personale dove si nascondevano quando l’Idago, Imperatore dei Regni Magici o Fresabonda, Regina delle Streghe, dava loro la caccia. Intricata e spettrale, la Foresta del Tempo imprigionava ogni essere vivente che osasse varcarla. Spettrali alberi di ferro crescevano formando gallerie infinite e sopra di essi, rami senza foglie che come mani silenziose, risucchiavano via le memorie dei malcapitati che si perdevano in quell’oscuro luogo. Solo i fantasmi, immuni al tempo, non perdevano i ricordi e quando si rintanavano in quella selva intricata, ascoltavano per giorni, le memorie che il tempo aveva rubato. I giorni felici, le avventure, le vittorie, gli amici, le esperienze, tutto veniva cancellato nella mente. Perfino l’Idago e Fresabonda non vi si avventuravano mai, sapendo la ben triste sorte di vivere senza ricordi. Il tempo aveva delegato la reggenza della foresta ad un diabolico essere infernale, Armisia, che senza sosta si aggirava per i corridoi di ferro, godendo dei lamenti di coloro che senza memoria, impazzivano. Ricoperta da capo a piedi con un fitto mantello di ragnatele, l’orrendo mostro avanzava lento fra i resti e le ossa dei miseri, mostrando solo le mani ossute e grinzose mentre gli occhi, rossi come tizzoni ardenti, si soffermavano curiosi, sulle prossime vittime. Ai suoi piedi, gli sventurati, vinti dalla sete, dalla fame e dalla disperazione, si accasciavano abbandonandosi contro i tronchi ferruginosi degli alberi. La loro morte sopraggiungeva, accompagnata sempre dalla stridula e infantile vocetta di Armisia che si divertiva a tormentarli fino alla fine. “Ti senti male?” Chiedeva come il trillo di un campanellino allo sventurato. “Come mai ti trovi qui?” Insisteva perfida, e ad un gemito dell’infelice che mormorava di non ricordare niente, si accompagnava, crudele, il ghigno di Armisia “Ma non rammenti nemmeno il tuo nome?” E giù, sghignazzi disumani che rimbombavano per i lugubri corridoi di piante. Così dall’inizio dei secoli, la foresta custodiva i ricordi, segreti importanti, che echeggiavano per l’eternità in quella terra buia e funesta. Il tempo era stato categorico con Armisia…Di tutte le memorie, le gioie erano le più preziose e dovevano essere le prime ad essere depredate. Nulla è più inestimabile della reminiscenza della felicità di aver abbracciato la mamma, o del viaggio con un amico o aver giocato con il proprio cane. La contentezza che si prova davanti ad un tramonto, o qualsiasi evento che porti il cuore in alto, facendolo librare. Armisia prendeva molto sul serio il compito, così le gioie erano i primi ricordi che rubava e in tanti secoli non aveva mai fallito. L’Idago avrebbe voluto sconfiggere un essere così malvagio e liberare infine i regni sconosciuti della magia da un simile luogo, ma perfino l’Imperatore rischiava di non uscire più da un siffatto labirinto. Ma la ricchezza e il potere hanno molti nemici, così in una notte senza luna, ai piedi delle Cascate d’ Argento, fra le grigie rocce e il tappeto del prato verde, si incontrarono la Regina delle Streghe, Nardis, Principe delle Paludi e Armisia, convocata per un patto straordinario con i due lestofanti. “ Altezza, ti ringraziamo di esserti unita a noi” l’accolse gaudiosa Fresabonda, nascondendo il ribrezzo alla vista delle migliaia di ragnatele impolverate, foglie secche e ragni morti che formavano il mantello del mostro. Le ossute mani lo lisciarono come seta preziosa mentre la bambinesca vocetta cinguettava “Spero ne varrà la pena. Il mio padrone gioirebbe nel possedere i ricordi dell’Idago e io vederlo morire fra i rovi della foresta. Sarebbe una gradevole vittoria.” Nardis, distogliendo lo sguardo dai sui occhi ipnotici che brillavano sanguigni, spiegò il progetto. “Il nostro piano è perfetto. Questa notte rapiremo la moglie dell’Idago e la porteremo nella vostra foresta. Sappiamo quanto l’Imperatore tenga alla sua sposa e cercherà di liberarla. Impiegherà un po’ di tempo per scoprire dove si trova. Nel frattempo vostra Signoria ruberà all’Imperatrice i ricordi e quando l’Idago la raggiugerà, scoprirà che ha perso la mente e la patria e lui stesso si affliggerà nel trovarla in quello stato. Certamente si tratterà qualche minuto nel tentativo di soccorrerla, così anche lui perderà i ricordi. Finalmente voi avrete le memorie di entrambi e quando moriranno, io e Fresabonda ci divideremo le loro ricchezze e i loro regni.” Una risata inquietante concluse il terribile accordo. “E io che credevo fra i tre, di essere la più malvagia! Ma voi mi offuscate.” Gracchiò Armisia, contenta del malvagio progetto. Ma prima di congedarsi avvisò: “Però siate precisi e prudenti. In una simile situazione qualsiasi errore può essere fatale e sareste voi a pagarlo.” I traditori annuirono e la videro allontanarsi lentamente mentre trascinava via rametti e fili d’erba che si imbrigliavano nello strascico del mantello. Nardis, roso ancora dall’umiliazione per l’incontro precedente con l’Idago, progettava già da tempo di rapire la moglie Aldruda. Il desiderio di vendicarsi era cresciuto da quando l’Imperatore lo aveva letteralmente buttato fuori dalla sua reggia per le troppe attenzioni rivolte alla sua sposa. Così il Principe delle Paludi aveva contattato Fresabonda ed insieme avevano progettato l’intero piano. Sfruttando la notizia che Aldruda e l’Idago non condividevano ancora il talamo, la notte stessa, complice l’assenza del re che sorvegliava i confini ovest, Nardis la rapì uccidendo i servi che vigilavano le regali stanze. Mentre la portava via era convinto di aver eliminato tutti i guardiani ma, fortunatamente quando poco dopo, tornò l’Idago un sopravvissuto, testimone malconcio del rapimento ma ancora vivo, riferì al suo padrone tutto, compreso la destinazione dove il Principe delle Paludi avrebbe abbandonato l’Imperatrice…Nella Foresta del Tempo. La notizia era preziosa e l’Imperatore volando veloce come il vento, raggiunse Aldruda, terrorizzata e sconvolta. Nardis e Fresabonda l’avevano appena abbandonata nel viale principale della Foresta. La povera ragazza si guardava intorno, circondata da scheletri sotto i minacciosi rami che incombevano su di lei. In lontananza Armisia stava per arrivare quando, proprio in quell’istante, l’Idago, agile e repentino raggiunse la moglie, la sollevò da terra e stringendola al petto, la innalzò superando i rami degli alberi e puntando il cielo scuro. In pochi attimi, erano lontani e al sicuro, e non sentirono gli strilli furiosi di Armisia che, fuori di sé, prendeva a calci le ossa abbandonate a terra e giurava vendetta contro Nardis e Armisia che, terrorizzati, fuggirono via. Mentre si librava nell’aria della notte, l’Idago raccontò alla sposa del pericolo della foresta e di ciò che sarebbe potuto accadere. In quel meraviglioso abbraccio, Aldruda sentiva il cuore dell’Imperatore battere forte, mentre l’aria gelida, giocava con i suoi capelli di seta e le sue vesti regali, ma lei, al sicuro, sta raggiungendo la reggia, stretta al marito. Il giuramento della vendetta di Armisia echeggiò nella foresta per sempre e il Tempo si premunì, vendicativo, affinché fosse il più forte di tutti i ricordi imprigionati e tormentasse il mostro in eterno, testimone del suo grande fallimento.

lunedì 8 marzo 2021

L'IDAGO E IL PRINCIPE DELLE PALUDI

I regni delle paludi si estendevano immensi e smisurati, dal deserto di Ghiaccio alle Foreste di Cristallo. Acquitrini e melma verdastra erano costantemente avvolti da una nebbia calda e umida che rendeva difficile distinguere ogni cosa. Gli specchi d’acqua stagnante riflettevano, sulla nera superficie, nodosi alberi limacciosi e i raggi del sole avevano abbandonato l’idea di illuminare quei vasti territori. Solo la luna piena, spavalda e coraggiosa, donava un po’ di luce azzurrognola a quei regni impregnati di fanghiglia e silenzio. Nardis, feroce principe di quei luoghi, per più di un secolo aveva tentato di convincere l’Idago ad allearsi con lui per combattere le streghe e gli elfi. Avevano nemici comuni e perché allora, non unire le forze? Si chiedeva spesso Nardis. Così per l’ennesima volta aveva inviato un messo per incontrare l’Idago, magica creatura e imperatore dei regni sconosciuti del pianeta, in una zona neutrale. Pochi giorni a seguire, aveva rinnovato l’intenzione. “Altezza-sussurrò un servo, inchinandosi davanti l’Idago e porgendo, su un vassoio d’oro cesellato, una lettera- è appena arrivato questo messaggio da parte del Principe Nardis. Il suo servo aspetta fuori le mura del palazzo, una risposta da parte di sua signoria.” Gli occhi celesti della magica creatura, brillarono, arguti. Sapeva perfettamente cosa bramava il Principe delle paludi. E gli smeraldi del nobile manto, luccicarono ancor più dello sguardo, mentre gli artigli reggevano delicati, la piuma con cui scriveva la risposta sulla pergamena che aveva subito richiuso. “ Se Nardis vuole incontrarmi che venga qui a palazzo.” Pensò l’Idago, volgendo lo sguardo sulla giovane moglie che, proprio in quell’istante, attraverso le vetrate di cristallo, passeggiava per le smisurate logge di marmo rosa che adornavano, principesche, i piani della regale dimora. Da pochi giorni si erano sposati e solo ora la fanciulla, ancora impaurita, aveva osato uscire dalle sue stanze. Dal giorno del matrimonio fino a quando avevano lasciato la caverna d’oro dove abitava prima, lo sposo non aveva potuto parlarle. L’Idago aveva rispettato la paura della moglie, e non le si era mai avvicinato. Avrebbe voluto conoscerla, chiederle i gusti e le preferenze, ma si era sempre tenuto a distanza, fidando sul fatto che poco alla volta, Aldruda, così si chiamava la giovine, si fosse abituata almeno alla sua presenza. Quella sera, per la prima volta, avevano diviso il pasto. Ai lati di una lunga tavolata in mogano, imbandita con prelibate pietanze, dove stoviglie d’oro e bicchieri di cristallo brillavano alla luce di monumentali candelabri d’argento, entrambi mangiavano silenziosamente, lei con il volto chino sul piatto e lui, che non la perdeva d’occhio neppure per un istante. In quel momento un servo portò la risposta del Principe delle paludi, tramite un nuovo messaggio. “Aldruda- sussurrò l’Idago, con una voce profonda e musicale- leggo ora che domani sarà nostro ospite il Principe Nardis, Signore delle paludi. Spero ti unirai a me, per accoglierlo.” La magica creatura aveva modulato la musica della sua voce, cercando un tono pacato, quasi dolce, proprio per non turbarla. La moglie sollevò lentamente il viso che, il fuoco scoppiettante del camino, illuminò finalmente. La pelle diafana era incorniciata da una chioma di seta dorata e gli occhi, verdi come la foresta, ombreggiavano timorosi, mentre ingoiava la risposta. Un breve cenno d’assenso comunicò all’Idago l’intenzione, mentre di nuovo, portando il cucchiaio alle labbra rosso rubino, fissava il piatto. Dopo il dolce, marito e moglie lasciavano la sfarzosa sala da pranzo e salendo una grande scalinata in marmo verde, accedevano al piano superiore, attraverso lunghi i corridoi decorati da arazzi e affreschi. Dopo un breve saluto impersonale, entrambi si ritiravano ognuno nelle proprie stanze. Negli appartamenti degli sposi, i camini scoppiettavano allegri, riscaldando i ricchi divani e le tende damascate che non lasciavano trasparire la notte stellata. Mentre Aldruda, pochi minuti dopo, sprofondava in un sonno senza sogni, a vari metri dalle sue stanze, l’Idago si rigirava fra le lenzuola di seta, non trovando pace. Lo sguardo correva dal letto a baldacchino, alle poltrone di velluto fino allo scrittoio in noce. In tre secoli, mai si era sentito così. Nonostante il suo potere e la sua forza, le smisurate ricchezze e il prestigio del suo casato, la giovane moglie lo temeva come una belva.” E c’è qualcosa in più- pensò improvvisamente saltando giù dal letto e avvicinandosi al camino-percepisco in lei, oltre la paura, anche una sorte di disprezzo…ma io non sono un animale. Discendo dalla più nobile stirpe dei regni sconosciuti e la morte e il ghiaccio mi hanno reso forte e potente. Ma lei mi vede semplicemente come un mostro.” Provando troppo caldo, l’Idago si allontanò di scatto dal fuoco. Le lunghe piume sfiorarono per un attimo, i tappeti persiani. Con passo regale, incedendo leggero, si avviò verso le tende che scostò. La gelida luna illuminò la splendida creatura, il rosso delle ali e il verde del manto. “Poche ore all’alba e Nardis sarà qui-rifletté tornando verso il letto- e l’unico pensiero che mi turba è mia moglie che dorme placidamente poco lontano da me.” Sdraiandosi di nuovo sotto la seta delle lenzuola, sperò che il sonno giungesse ma quella strana febbre che si era impossessata improvvisamente di lui, lo tormentava. Quella brace nel petto gli toglieva il respiro. Così, mezz’ora dopo, esasperato, correva libero nel buio del bosco, allontanandosi sempre più dal palazzo. Non era riuscito a dormire e la frustrazione lo aveva colto, prepotente. L’unico sfogo era l’inseguimento affannoso, attraverso gli alberi e i neri cespugli della foresta, di un po’ di pace. Quando i primi raggi del sole illuminarono le auree montagne che circondavano il palazzo, l’Idago fece il suo ingresso nella sala del trono, giusto in tempo per accomodarsi accanto alla moglie. Poco dopo, preceduto da servi che portavano in dono, forzieri ricolmi di gemme e oro, fece il suo ingresso il Principe Nardis. Lentamente, e regale, si diresse verso la strana coppia che lo osservava attenta. Lembi di pellicce diverse coprivano il capo, da cui, capelli come paglia, fuoriuscivano selvaggi. Il viso, splendido come una statua greca, salutava con un cenno, gli sposi, e il petto si ergeva, orgoglioso dove, la catena di ferro tintinnava contro il pendente di malachite, simbolo della reggenza. Il principe aveva sentito parlare della bellezza della moglie dell’Idago ma niente lo aveva preparato ad una simile visione. Il broccato rosa dell’abito lasciava intravedere un busto tornito e i diamanti blu che circondavano la bianca gola, sostenevano la smarrita bellezza di un viso d’angelo. “Tu sia il benvenuto- sussurrò l’ospite mentre osservava, teso, l’indugiare di Nardis, sulla gola palpitante di Aldruda. Trattenne il pensiero e il potere della sua mente per non renderlo cieco e pazzo. Ma cos’era mai quel nuovo sentimento, sconosciuto, che si stava facendo largo nel cuore? L’Idago bruciava di gelosia. “Come osa-pensò urlando dentro sé- guardare, con abbaglio, mia moglie? Odo il fremere del suo essere.” E benché sconvolto, si dominò e fece accomodare il Principe Nardis accanto a loro, determinato però a concludere al più presto quell’incontro. Quantunque li univano nemici comuni, che ognuno fosse libero di combattere come meglio desiderava. Non voleva alleati che bramassero, anche un solo sguardo, la bellezza di sua moglie. Seduto comodamente sulla poltrona di velluto, Nardis accavallò le gambe fasciata da pelli di alligatore. Le dita diafane, ingioiellate, tamburellavano sul bracciolo di tessuto rosso. Stava scegliendo le parole per persuadere il padrone di casa ad allearsi con lui anche se già percepiva un certo rifiuto. Tentò comunque: “ Ti ringrazio per l’accoglienza e l’ospitalità.” Lo sguardo dell’Idago scintillò mentre rispondeva: “ Prego. Io e mia moglie siamo lieti di accoglierti.” “Sono tanti anni ormai-proseguì imperturbabile- che cerco la tua alleanza per fronteggiare i nemici comuni.” Aldruda posò lo sguardo sul marito, distogliendolo dal Principe delle paludi. Era una conversazione fra capi di stato e lei si sentiva proprio fuori posto. Le sue umili origini continuavano a condizionarla. Nardis proseguì forte delle sue ragioni:” Ho saputo che la regina delle streghe ha stipulato un’alleanza con gli spettri dei mari, per poterci spodestare. Ora la sua forza potrebbe essere aumentata, per tal motivo insisto per un accordo fra noi.” Ciò che aveva appena raccontato il Signore delle paludi non intaccò minimamente la volontà di rifiutare, da parte dell’ospite, l’offerta ma proprio in quell’istante un servo, irruppe nella sala del trono richiamando l’attenzione: “Maestà, la Chimera insieme ad un esercito di elfi punta il palazzo. Sono vicini al confine ovest delle foreste.”L’Idago si alzò di scatto dal trono, avvicinandosi all’uscita della sala. “Scusate” mormorò contraendo la possente muscolatura. Ne approfittò subito il Principe, rinnovando il sodalizio e l’offerta di aiuto. “Non occorre-rispose l’Idago-difendo io le mie terre.” Allontanandosi velocemente dal palazzo, maledisse, librandosi in aria, il momento in cui aveva deciso di invitare alla reggia il Principe. Ma accettare ora il suo aiuto in guerra, significava stipulare un’alleanza che lui non voleva. Ma beffa del destino, per difendere il regno, aveva dovuto lasciare sola la moglie con Nardis. “La battaglia deve finire entro il tramonto!” Pensò spalancando le possenti ali e guadagnando più veloce l’orizzonte. In quel momento Aldruda, sentendosi responsabile, invitò Nardis a fermarsi per il desinare. Aveva percepito la riluttanza del marito nei riguardi del Principe ma il protocollo imponeva l’ospitalità. “Sono lieto di poter approfondire la vostra conoscenza-mormorò il Signore delle paludi rivolto alla padrona di casa, accarezzando con lo sguardo, l’oro della lunga chioma e accettando subito l’invito- ho sentito molto parlare di lei, maestà e quest’occasione mi riempie di letizia.” La ragazza, agitandosi sul trono, si lisciava l’abito. Imbarazzata cercava una risposta neutrale, e non ancora esperta dell’etichetta, sorrise incautamente. L’ospite, sentendosi incoraggiato, intavolò allora una serie di discorsi che spaziavano dalla letteratura alla poesia, cercando di intrattenerla. Dava sfoggio delle sue conoscenze, non dimentico di esprimere, ogni qualvolta la sua opinione. Ma lei avvertiva dietro quell’oceanica erudizione, una grande durezza d’animo. “Consapevole del suo potere ma lontano dalla vera regalità. “ Questa era l’opinione che si era formata di lui. Inoltre il fascino del Principe sembrava una leva su coloro che gli si avvicinavano, soggiogati dallo sguardo e dai perfetti lineamenti, tranne per lei. Giunse finalmente l’ora del pranzo e Aldruda e Nardis si accomodarono proprio dove la sera prima, l’Idago si era intrattenuto con la moglie. Ma la differenza era il palese tentativo di far conversazione a tutti i costi da parte del Principe. L’imperatore invece era stato molto più discreto. Nel frattempo, la battaglia fra l’Idago e gli eserciti degli elfi, infuriava. Fuoco, armi e sangue macchiavano la verde valle dove i nemici erano giunti. La Chimera cercava di trovare debolezze nell’imperatore, cercando di attaccarlo da più fronti, ma la forza del reggente era smisurata e così, in poche ore, il nemico era stato messo in fuga e il mitologico animale vinto. Senza perdere tempo, l’Idago spiccò il volo, con la forza del vento e della tempesta, allontanandosi dal campo di battaglia e giunse al palazzo in tempo per trovarsi davanti una scena apocalittica. A quanto pare il pranzo era finito e l’impudente Principe si era alzato dalla poltrona, si era avvicinato a Aldruda e le teneva la mano. La moglie, in un palese imbarazzo, cercava di sottrarla in tutti i modi. L’arrivo dell’Idago, proprio come una folata di vento, pioggia e foglie, spalanca una finestra, raggelò l’ambiente. Aldruda e il Principe si alzarono contemporaneamente. L’animale si avvicinò a loro come un predatore mentre Nardis, lentamente si allontanava dalla ragazza. “Altezza- mormorò senza perdere il controllo e sfoggiando una sicurezza che era ben lungi da provare-sono lieto che abbiate avuto la meglio sugli aggressori. Congratulazioni.” L’Idago lo gelò con il ghiaccio degli occhi. “Grazie. Non c’è voluto molto.” La moglie, sussurrando qualche parole di congedo, li lasciò soli. Era una fuga bella e buona. Scese un silenzio glaciale che Nardis tentò di rompere. “Così data la sua facile vittoria-continuò il Principe, cercando una scusa per allontanarsi prima possibile dal palazzo. Percepiva chiaramente il pericolo- l’offerta di un’alleanza penso sia superflua.” Le parole caddero a vuoto. Come un serpente fissa la preda così faceva l’imperatore. “Infatti- e sollevando il capo verde smeraldo aggiunse, trattenendo la tempesta che provava dentro- e se ora vuole scusarmi, vorrei ritirarmi. Ma prima la scorterò fuori le terre del palazzo.” Parole simili a pietre. Senza aspettare risposta, lo precedette fuori la sala da pranzo, guadagnando veloce l’atrio e il piazzale. Entrambi si muovevano spediti, e appena giunti al limite del bosco che circondava il versante nord dei giardini della reggia, l’Idago si bloccò di colpo e volgendo l’imponente corpo verso il Principe, lo congedò: “La invito a non avvicinarsi mai più al castello e soprattutto a mia moglie- minacciò furente- se mi accorgerò che anche un solo pensiero molesto verso Aldruda vi attraverserà la mente, nessun luogo, nei mondi sconosciuti, sarà un nascondiglio sicuro.” Continuò pietrificando anche l’aria intorno a loro: “Inoltre, prosciugherò le paludi delle sue terre, raderò al suolo i palazzi e i villaggi. Nessun essere vivente che le appartiene respirerà più a causa sua e tramuterò i fluidi del suo corpo in polvere del deserto. Ogni lembo della sua pelle sarà straziato e bruciato. La morte giungerà come una liberazione.” Senza dir altro, lasciando aleggiare nell’aria ancora questa terribile minaccia, l’imperatore puntò il nero del cielo e improvvisamente il Principe delle paludi si ritrovò solo, mentre la foresta intorno a lui, lo scrutava, minacciosa, obbediente a suo Signore.