domenica 4 ottobre 2015

RACCONTO: IL TEMPO NELLA BOTTIGLIA di LUCINA CUCCIO

IL TEMPO NELLA BOTTIGLIA Il pirata Quattrossa remò faticosamente fino al faraglione. Aveva dato ordini di attraccare il galeone dietro l’Isola dei Venti, lasciando di guardia il suo fido Piedebucato, mozzo e amico da ben dieci anni. Gli aveva intimato che l’equipaggio non poteva per nessun motivo lasciare la nave e che massimo al calar del sole, lui sarebbe rientrato a bordo. Il faraglione ricordava un’ informe pagnotta di pane, così Quattrossa dopo aver trascinato la vecchia barca dentro un’insenatura lunga e stretta, percorse zoppicando una stradina scavata dalle onde. Alghe secche e tronchi avvizziti intralciavano il passo, quando finalmente il vecchio pirata si trovò davanti uno spazio fra gli scogli. Nella tasca trasportava il prezioso tesoro che durante il cammino tenne accostato a sé con la mano per paura di romperlo. La fessura continuava in un budello umido e oscuro che Quattrossa scese lentamente, illuminato dalla torcia che tremolava timida. Pochi metri e si ritrovò in un’ambiente non più grande di una stanza. La torcia si stava spegnendo quietamente così il pirata tirò fuori dalla tasca il suo tesoro. Era una boccia di vetro, verde e panciuta che per qualche minuto il pirata osservò ruotandola con la mano e la nebbia arancione che vi era chiusa dentro si mosse vorticando piano. Avvicinò poi piano piano il piccolo fiasco al viso rugoso e con lentezza le diede un bacio, quindi adagiò a terra la bottiglia coprendola con una pezza bianca che si era portato dietro. Si rimise in piedi e ritornò sui suoi passi. Meno di un’ora dopo il vecchio pirata era già sul ponte della sua nave ordinando di tirare l’ancora e issare le vele. Voleva lasciare al più presto l’Isola dei Venti. “Comandante- esordì il vecchio amico Piedebucato- dove diavolo hai trascinato le tue vecchie ossa? Sei sparito dietro il faraglione e non ti abbiamo più visto. “ “Per mille sputi di vipera!-Sbraitò allora Quattrossa, rivolto alla ciurma- più forza con quelle funi! Il vento sta calando!” Poi si girò verso l’amico con gli occhi fuori dalle orbite: ”Ho la suocera in casa per dirle dove trascino la mia carcassa?” “No ma…” tentò di scusarsi Piedebucato. “Affari miei” ringhiò il bucaniere voltandogli le spalle ingobbite. Scese un gelo infinito fra i due uomini coperto dal frastuono di corde e urla dell’equipaggio. L’indomani navigavano veloci sulla rotta dei mercantili provenienti dall’Inghilterra quando avvistarono una nave della corona inglese e decisero di abbordarla. Purtroppo l’abbordaggio andò male, e i pirati furono sconfitti dopo una breve ma terribile battaglia. La nave inglese era piena di cannoni e un equipaggio numeroso e ben addestrato, così molti dei filibustieri si buttarono in mare per evitare di essere presi prigionieri ma Quattrossa e Piedebucato rimasero sul galeone fino alla fine e con pochi altri della ciurma furono trascinati e messi ai ferri nella nave della corona. “Finalmente ti abbiamo acciuffato” esclamò il comandante dell’ammiraglia. Silenzio. Il pirata taceva. “Ora tu mi sveli tutti i tesori che hai e soprattutto dove sono nascosti.” Continuò il militare avvicinando la spada al collo di Quattrossa. Il corsaro non si mosse nemmeno quando la lama gli tagliò leggermente la pelle e iniziò a sanguinare. “Va bene, come vuoi-si interruppe il comandante- allora vediamo se questo ti scioglierà la lingua.” Un rumore terribile, secco e sordo seguito da un urlo disumano fece sobbalzare il vecchio pirata. Un dito della mano di Piedebucato era stato tagliato di netto con un colpo di spada dal comandante. Quattrossa divenne pallido, quasi esangue alla vista del dolore dell’amato compagno di viaggi e avventure e ai mugolii della sua sofferenza. Dopo aver ingoiato lacrime e sudore sibilò: ”Il mio tesoro più grande si trova nell’Isola dei Venti, dentro una piccola grotta del faraglione nord. E’ dentro una bottiglia, nascosto da uno straccio.” Il comandante della nave, ironico e cattivo gli chiese: “Dentro una bottiglia?” Scoppiò in una fragorosa risata, poi continuò: E che tipo di tesoro è? Polvere di diamanti? oro liquido?” Quattrossa ringhiò feroce: “ C’è il tempo, idiota! Sono riuscito a metterne un po’ dentro la bottiglia dalla Fonte della Morte. Sono l’unico al mondo a possedere il tempo…ma per salvare la vita al mio buon amico Piedebucato sono pronto a rinunciarvi” “La Fonte della Morte?” spiegati Corsaro della malora!” Il vecchio pirata, ispirando pazienza e disgusto per quell’orribile uomo iniziò a raccontare: “ Più di dieci anni fa ho salvato un povero naufrago che prima di morire mi confessò che esisteva nell’Oceano Pacifico un’isola vulcanica, dove c’era una fonte nascosta in una caverna chiamata “Fonte della Morte.” Non vi scorreva acqua ma una nebbia arancione…. Cioè vi scorreva il tempo. Il naufrago era un pirata come me e la sua nave era andata a sbattere contro quell’isola e per caso aveva scoperto quella fonte. Non sapeva cos’era quella nebbia arancione e l’aveva toccata. Il giorno di quel pirata si era allungato di dieci anni. Solo sfiorare quella nebbia fa allungare la vita di tanti anni. Quel pirata non capiva perché il sole non tramontava più, non aveva più fame né sete. Era una strana magia però aveva compreso che quel che gli stava accadendo aveva a che fare con la nebbia. Ma dopo tanti anni passati in quell’isola solitaria ha costruito una zattera e ha tentato di attraversare l’oceano convinto di avere ancora tempo da sfruttare invece non sapeva che la sua scorta di tempo era finita e così in balia delle onde per vari giorni soffrì la fame e la sete finché io non lo salvai dal mare. Ma era troppo tardi ….però prima di morire mi confessò quel terribile segreto. Allora andai personalmente a cercare quell’isola vulcanica, la trovai e scovai la Fonte della Morte. Ma mentre stavo raccogliendo il tempo per metterlo nella bottiglia, un terremoto fece tremare la terra. Il vulcano era esploso. Allora mi allontanai velocemente, raggiunsi la nave e vidi l’isola scoppiare. Ero riuscito a salvare un po’ di nebbia nella bottiglia ma averla toccata aveva allungato la mia vita di trent’anni e reputo quella bottiglia il tesoro più grande che posseggo.” Il vecchio pirata tacque. Il racconto per quanto incredibile aveva interessato il perfido comandante che chiese:” Quindi chi tocca la nebbia vive un giorno lungo anni?” Quattrossa rispose: “ E’ così.” Il signore dell’ammiraglia improvvisamente con la spada uccise il povero mozzo Piedebucato, poi Quattrossa e i pirati che aveva catturato. La confessione che aveva ascoltato era sufficiente. Aveva ragione quel vecchio pirata. In quella bottiglia c’era il tesoro più grande del mondo. I soldati della nave lo videro infilzare con rabbia felice uno ad uno i poveri bucanieri, insensibile alle urla e al sangue che sporcò il pavimento e le pareti. Poi diede ordine di raggiungere al più presto l’Isola dei Venti. Non voleva perdere un secondo in più e desiderava al più presto impossessarsi di quella bottiglia Pochi giorni dopo, seguendo le indicazioni di Quattrossa, il comandante con l’ammiraglia arrivò all’Isola dei Venti. Non disse a nessuno dove sarebbe andato e diede ordine all’equipaggio di non muoversi per nessuna ragione. Quindi con una scialuppa si allontanò dalla nave, raggiunse il faraglione nord e trovò facilmente la caverna e la discese quasi tremante dalla gioia. Alla vista della bottiglia esultò, gridando come un pazzo. La commozione era infinita ma nell’attimo preciso in cui aprì la bottiglia e la nebbia ne uscì, spargendosi sulle sue mani, un dolore feroce al petto lo colpì come una fucilata. Nausea e vomito lo distrussero in un momento. Gli era venuto un infarto dalla troppa felicità. Un malessere infernale lo sconvolse. Attese, sdraiato a terra che tutto quel male finisse. Piangeva e urlava dagli spasimi e la sofferenza gli impedivano di muoversi. Vomitava sangue e acido, ma il tempo passava, e il comandante, torturato e sofferente comprese che la nebbia aveva fatto allungare quel terribile giorno di dolore per centinaia e centinaia di anni. Il dolore, la nausea e il disgusto non sarebbero passati più. Dopo varie settimane, l’equipaggio si convinse che il comandante era morto, quindi il sottufficiale diede ordine di salpare e lasciare l’isola. Ma nessuno sapeva invece che il comandate era rimasto lì, in quella caverna a torcersi nel vomito e nello schifo, solo e al buio e preda del dolore e dei fantasmi di Quattrossa e Piedebucato che lo tormentarono per centinaia di anni. E quell’orribile uomo è ancora lì, aspettando, soffrendo e piangendo che il suo tempo finisca al più presto. Qualsiasi tesoro, anche il più grande, se cade nelle mani sbagliate difficilmente dà la felicità.

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