domenica 12 luglio 2015

IL GIARDINO DI CERA C’era una volta un regno antico e sperduto che aveva avuto pochissimi contatti con altri regni. Si trovava in fondo ad una valle, circondato da altissime montagne innevate. Gli abitanti di quel regno erano schivi, malinconici e impacciati. Il re e la regina non avevano vita sociale, non davano feste e passavano tutto il tempo rinchiusi nel loro castello. Nessuno in quel regno rideva, o scherzava o ballava. Le alte montagne erano mura invalicabili e tutte le persone erano abituate solo a lavorare, vivere e morire senza aver davvero conosciuto gli altri popoli. La regina spesso passeggiava nel giardino del castello dove, fra le siepi, vi erano delle alte statue di marmo. Rappresentavano gli dei del lavoro. La dea protettrice della semina, il dio difensore della mungitura e tosatura delle pecore, la dea tutrice della fabbricazione del formaggio, la dea sostenitrice delle api e della fabbricazione del miele… La regina ringraziava sempre le divinità, soprattutto quella che aiutava la fabbricazione del miele di cui era molto golosa, e rivolgeva ai numi preghiere di riconoscenza convinta che proteggessero il lavoro nella sua terra e che tutto andasse così bene. Anche il re la raggiungeva per rendere omaggio alle statue, osannando il loro sostegno e magnanimità. Tutte le stagioni erano scandite dai ritmi lavorativi del regno. A scuola i bambini non imparavano a disegnare o a suonare gli strumenti, ma solo a lavorare la terra, cucire i vestiti, fabbricare utensili…venivano istruiti solo per ciò che poteva essere utile nella vita quotidiana e cioè imparavano un lavoro ma niente di creativo o fantasioso. In realtà quel regno era sterile e infelice. Un giorno la regina si accorse di aspettare un bambino e nove mesi dopo nacque una bellissima bambina alla quale fu dato nome Lattea poiché aveva la pelle chiara come il latte. I sovrani erano al settimo cielo e vivevano solo per quell’unica figlia. Crescendo però la principessa sconvolgeva continuamente i genitori perché amava ridere, scherzare e ballare. Disegnava con il succo delle more e l’erba spremuta e suonava i bicchieri e i piatti. Nel regno non esistevano colori a matita o strumenti. Il re e la regina l’amavano profondamente ma non capivano la sua diversità. Tentavano di inculcarle l’amore e la dedizione assoluta per il lavoro, e la richiamavano bonariamente al silenzio e alla mestizia ma Lattea invece gioiva e cantava. Correva felice per i giardini del castello, fermandosi davanti alle statue degli dei del lavoro, e ogni volta faceva loro la linguaccia. Per Lattea la vita era fatta di colori, musica gioia e non solo di lavoro e silenzio. Un giorno, dopo l’ennesima brontolata dei genitori sul fatto che l’avevano sorpresa a disegnare, Lattea iniziò a piangere, scappando in giardino. Disperata e confusa si sedette su una panchina, singhiozzando accoratamente quando piano piano si accorse che le statue di marmo che la circondavano lentamente si stavano trasformando in cera. Libere dal marmo, le sculture si muovevano e parlavano. Le lacrime di Lattea avevano commosso gli dei del lavoro e quando i genitori la raggiunsero in giardino, la trovarono circondata da bellissime donne e uomini che impedirono però ai sovrani di avvicinarsi. Il re e la regina, terrorizzati, chiamarono le guardie per liberarla, ma qualsiasi attacco dei soldati fu vano. La principessa lasciò il castello, scortata dalle statue di cera e si avviò a piedi lungo il valico più basso, sparendo dalla vista dei paesani, dei soldati e dei monarchi che urlavano impazziti. La loro unica figlia, luce dei loro occhi, era stata portata via. Il regno piombò della più cupa disperazione. La regina piangeva tutto il giorno e il re mandava soldati e dignitari a cercarla in tutta la regione. Ma la principessa Lattea sembrava sparita. Passarono i mesi e l’unico fatto strano che lasciò sconvolti i paesani era che le api avevano smesso di fare il miele. La notizia fu trascurata dal re, che ordinava ai suoi soldati di passare a setaccio le montagne, le vie, i boschi, alla ricerca della figlia. Ma la regina ne fu colpita. C’era un collegamento fra le api, le statue che si erano trasformate in cera e il rapimento della figlia? Così un giorno si recò dal contadino che sapeva avere molte alveari e chiese il suo parere. “ La faccenda è davvero strana-rispose il campagnolo- le api continuano la loro vita, sono brave lavoratrici, ma si rifiutano di fare il miele. Lavorano come matte, ma dalla loro vita hanno tolto lo zucchero…non fanno più ciò che a loro piaceva al di sopra di tutto, e cioè fare il miele.” La regina rimase perplessa alle parole del contadino. Le api, indefesse lavoratrici avevano eliminato il miele dalla loro vita…Poi, rifletté, collegando i vari eventi. Dal regno era stata eliminata l’arte…la musica…il ballo. Era stato eliminato il miele degli uomini. Il regno era come un alveare ma senza il miele. Sbalordita e sconvolta, corse da re, esponendo la sua teoria. Per far tornare la principessa dovevano far tornare il miele fra gli uomini e cioè nelle scuole dovevano insegnare anche la musica e l’arte, e si dovevano organizzare feste e balli così che la gioia e la felicità dovevano sbocciare in ogni casa. Il re, interdetto, alla teoria della moglie rimase zitto, ma essendo anche lui disperato, fece eseguire ciò che aveva proposto la regina. Così, per la prima volta, musiche, canti, quadri e poesie furono udite e visti nel regno e tutti gli abitanti non dedicarono la vita solo al lavoro ma anche a divertirsi e a sorridere. Il miele della vita era nato nel loro regno e pochi giorni dopo anche gli dei protettori dei mestieri riportarono la principessa Lattea ai suoi genitori. Tutti avevano imparato l’importanza della gioia, del canto e dei colori nella vita di una persona e il re stesso trasformò il regno in un paese felice e canterino. Fece costruire dei lunghi tunnel che collegavano il suo paese agli altri regni, e i nuovi contatti con l’esterno arricchirono di commerci e arte la contea. Una ventata di cambiamento e allegria invase il cuore di ogni paesano. Il miele della vita di un uomo è poter gioire di ogni tesoro che la vita offre.

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