martedì 12 luglio 2016

LA MONTAGNA MISTERIOSA

LA MONTAGNA MISTERIOSA C’era una volta, nel nord dell’Inghilterra una montagna irta e scoscesa, circondata da una folto e impenetrabile bosco. Ai piedi di questo monte si trovava un antico villaggio i cui abitanti avevano, da sempre, un timore quasi referenziale nei riguardi dello strano monte e l’avevano soprannominato “la rocca misteriosa” poiché migliaia di volte avevano provato ad arrivare fino in cima, ma ogni volta nebbia, tempesta o bufera, orsi e strani incidenti facevano tornare indietro tutti coloro che volevano scalarla. La cima della montagna era sempre incappucciata da un cocuzzolo di neve che all’alba si tingeva di rosso e rosa. Durante il lungo inverno, il monte sembrava una pietra preziosa, un grande diamante grezzo, così scintillante e luminoso che in tutti coloro che lo ammiravano, ispirava un prepotente desiderio di poterlo raggiungere. Però mai nessuno ero riuscito in una simile impresa. Così i paesani avevano rinunciato e ogni iniziativa di scalare la montagna era stata accantonata. In inverno nevicava così tanto che anche il paese rimaneva bloccato mentre in estate le giornate di sole erano rare intervallate da lunghi periodi di pioggia. Una sera d’autunno, quando vento e temporali sferzavano l’aria fredda e umida, un forestiero giunse in paese e siccome era molto stanco, si fermò a riposare nell’unica locanda del borgo. Si sedette ad un tavolo, vicino al camino e ordinò una tazza di tè. Il padrone lo servì portandogli anche dei biscotti fatti in casa, e il viaggiatore chiese se poteva anche pernottare. “Ma certo!-rispose il locandiere- l’accompagno nella migliore camera della locanda dove potrà anche ammirare la vista della nostra montagna, “ la rocca misteriosa”, sempre se domani avrà smesso di piovere.” Il viandante che si chiamava Tom, dopo aver finito l’ultimo biscotto, chiese incuriosito: “ Perché l’avete soprannominata così?” L’oste, accompagnandolo su per le scale, rispose: ”Perché, a memoria d’uomo, nessuno è mai riuscito a scalarla. Abbiamo rinunciato tutti ormai da tanti anni e siccome il monte ci ispira anche curiosità, “rocca misteriosa” è il soprannome che i nostri bisnonni le hanno dato.” Quella notte, il viandante si girò e rigirò nel letto. Quella storia l’aveva proprio colpito. Nel suo animo si agitava un profondo interesse ma anche curiosità, audacia e risolutezza. La pioggia batté insistente sulle imposte di legno per tutta la notte, quasi a volerlo chiamare e all’alba, Tom si alzò stanco ma determinato. Anche lui avrebbe provato ad arrivare in cima alla montagna. Durante la colazione mise al corrente il proprietario della locanda sulle proprie intenzioni. L’oste provò a dissuaderlo nell’intraprendere la scalata.” Mi ascolti-gli disse profetico-è davvero inutile che cerchi di arrivare in cima. Appena giunto nel bosco, una strana e densa nebbia le impedirà di vedere. Tutto il mondo si trasformerà in una lampada di fumo e dovrà fermarsi. Qualcuno è riuscito a superare la nebbia, ma una tormenta di neve si abbatterà sul sentiero che porta allo sperone e che continua poi in una sorte di ponte di ghiaccio. Lì tutti si sono fermati perché orsi e branchi di lupi affamati aggrediscono chiunque provi a passare. Nessuno sa come prosegue la strada.” Tom ascoltava attentamente, facendo tesoro di ciò che l’oste raccontava, però poi si recò ugualmente nell’unico emporio del paese dove comprò varie cose che sicuramente gli sarebbero servite per salire il monte. La notizia che un forestiero voleva scalare la montagna si sparse rapidamente e molte persone l’accompagnarono fino alle pendici del bosco. Tutti salutarono Tom augurandogli buona fortuna, ma qualcuno scuoteva la testa, convinti che anche lui sarebbe presto tornato indietro. Tom, animato una ferma volontà, si avventurò nel bosco, bagnato di pioggia. Mucchi di foglie e rami caduti rendevano difficile camminare ma gli scarponi che il giovane aveva comprato la mattina presto, facilitavano il percorso. E come l’oste predisse, arrivò una nebbia così fitta che i tronchi degli alberi, il terreno e anche il cielo, scomparvero improvvisamente. Tom allora si sedette a terra, aspettando che quello strano fumo grigio si diradasse ma parecchie ore dopo, ancora non si riusciva a vedere niente. Le tenebre stavano calando e un manto nero avvolse l’intraprendente giovane. Durante la notte, dallo zaino, estrasse un fornelletto portatile e l’accese. Scaldò una zuppa e dopo essersi rifocillato, si addormentò. Il pesante cappotto lo difese dal freddo e l’indomani, i raggi del sole che filtrarono attraverso la cortina dei rami degli alberi, lo svegliarono lentamente. Tom si alzò, costatando con soddisfazione, che la fitta nebbia era scomparsa, ma qualche ora dopo, una terribile tormenta lo costrinse a fermarsi. La neve, fitta e pungente, sferzava su di lui, implacabile, colpendolo ripetutamente. Ma Tom, trovato un grosso masso, si accucciò contro la parete, tentando di difendersi dalla tormenta. Il freddo era ancora più intenso ma, risoluto, il giovane resistette tutto il giorno, fino a sera. Poi la tormenta cessò. Era notte fonda, quando Tom arrivò al famoso sperone. Dopo averlo percorso, la lampada che illuminava il suo passo, rischiarò l’accesso al grande ponte di ghiaccio che si levava in alto verso la vetta. Ma improvvisamente un enorme orso bruno , dalla sommità del ponte, puntò Tom, ringhiando feroce. Tom corse via e fortunatamente trovò un albero dove arrampicarsi e dall’alto buttò all’animale affamato, enormi pezzi di carne pieni di sonnifero. L’animale li divorò immediatamente e poco dopo, cadde in un sonno profondo. Il giovane scese dall’albero ma sempre arrivato all’inizio del ponte, un branco di lupi gli corse contro. Tom scappò di nuovo e si arrampicò sullo stesso albero, ma aveva finito la carne. Così rimase su, aspettando che i lupi andassero via. Il branco rimase due giorni sotto l’albero, aspettando che Tom cedesse alla fame e al freddo, ma all’inizio del terzo giorno i lupi lasciarono la presa. Tom era allo stremo delle forze, ma barcollante dal sonno e dalla stanchezza, scese dall’albero e iniziò a percorrere il ponte di ghiaccio. Non poteva credere che era riuscito finalmente ad arrivare fino alla cima. Tutto era coperto di neve, così bianca e scintillante che faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Dietro il cocuzzolo innevato, il monte continuava in basso, declinando in una piccola valletta nascosta dalla cima. Tom non poteva credere ai suoi occhi! La valle era tutta verde, piena di fiori e alberi da frutta. Camminò sui prati profumati, staccando qualche mela per placare la fame quando vide un sentiero erboso. Incuriosito lo percorse e dopo pochi minuti giunse alla parete nord del monte. A malapena notò l’ingresso di una caverna, nascosta da rampicanti e cespugli, ma avvicinandosi intravide, vicino un arbusto, una bambina di dieci anni intenta a sfogliare una margherita. Indossava un vestitino di mussola rosa e aveva lunghi capelli biondi. Quando si accorse di Tom, gli sorrise gentile:” Ciao-lo salutò cordialmente-come ti chiami?” Il giovane credeva di avere le allucinazioni. Un piccola bimba, carina e gentile sulla sommità di un monte impenetrabile. Deglutendo varie volte, rispose:” Ciao. Mi chiamo Tom e tu?” La piccola sorrise di nuovo:” Io mi chiamo Mary.” Prendendo coraggio Tom osò: “ E cosa ci fai qui?” La bimba, divenne improvvisamente seria, come se quella domanda fosse proprio strampalata. La risposta sembrava superflua: “Sorveglio che nessuno disturbi la mia mamma!” “La tua mamma? E dov’è’ ?” Mary pazientemente rispose: “La mia mamma è dentro la caverna e sta dormendo.” E con il ditino indicò l’ingresso. “Vedi, è lì ma nessuno può entrarci!” Tom, che ripensava ai lupi e all’orso che aveva affrontato, esclamò: “Ma devi svegliarla! Potrebbero arrivare degli animali feroci e attaccarvi! Dimmi dov’è tuo padre?” Mary sorrise.” Oh! Ma anche il mio papà sta dormendo! Ma lui è rimasto al villaggio!” Tom non capiva più niente! Il padre le aveva lasciate sole sulla montagna e lui era rimasto al villaggio a dormire? Prendendo l’iniziativa e ispirando profondamente le propose:” Senti piccola, svegliamo la tua mamma e al villaggio vi ci porto io. Non preoccuparti! Riusciremo a superare quegli animali.” Allora Mary ripeté educatamente :” Guarda che nessuno deve svegliare la mia mamma! Ed è compito mio che dorma tranquilla nella sua grotta!” A questo punto, Tom, diretto le chiese:” Puoi spiegarmi perché non puoi svegliare la tua mamma?” La bimba, alzandosi in piedi rispose: ”Vedi, alla mia mamma piace tanto il colore giallo…sai quel giallo delle collanine e dei braccialetti?” “Sì…ho capito il giallo a cui alludi.” Mormorò Tom sempre più stranito. Cosa c’entrava il giallo con il fatto che la madre non poteva essere svegliata? “Beh-continuò la bimba- Lei adorava tanto quel colore che si vestiva sempre di giallo! Le coperte del suo letto, le tende della casa…anche le pareti del salotto erano gialle! Quando la mia mamma si è addormentata, il mio papà l’ha portata quassù. L’interno di quella caverna è tutta gialla! E con la luce della torcia, luccica! Il mio papà era convinto che alla mamma sarebbe piaciuto dormire in un posto tanto giallo. Poi, qualche anno dopo, anche il mio papà si è addormentato. Ma prima di chiudere gli occhi, mi ha chiesto di venire quassù a vegliare sul sonno della mamma e a far sì che nessuno potesse disturbarla! Mi aveva detto che se qualcuno avesse scoperto che nella grotta c’era tanto giallo, molti uomini sarebbero saliti quassù a disturbare la mia mamma, a portarla via dalla sua grotta e a farla dormire accanto al mio papà. Ma vedi, dove dorme il mio papà c’è buio, mentre alla mia mamma piace dormire circondata dal giallo che luccica!” Tom non sveniva solo perché si era seduto a terra. Quella storia l’aveva sconvolto! Non sapeva se doveva provare terrore, raccapriccio o curiosità. C’era una bambina, davanti a lui che chissà da quanti secoli vegliava il cadavere della madre in una grotta d’oro! Quasi gli veniva da vomitare! La bimba si sedette accanto a lui e raccolse un’altra margherita. Il giovane, balbettando allora le disse:” Immagino che sei qui da tanto tempo!” Mary si illuminò tutta: ”Oh sì! Da tanto! Però mi piace star qui! In questa valle non piove né nevica mai! E ho sempre tanta frutta da mangiare! La sera dormo accanto alla mia mamma e non mi sento per niente sola!!! Tom, barcollando, si alzò. Fece una carezza alla bimba. Per quando allucinante, quel luogo non andava violato. Non sapeva quali forze magiche o paranormali proteggessero quel posto ma lui e chiunque erano solo degli intrusi. ” Allora Mary-le disse, facendosi forza- io vado via e scusami se ti ho disturbato!” Il giovane era quasi pentito di essersi avventurato fin lassù. La bimba si alzò in piedi anche lei e gli sorrise, tendendogli la mano:” Nessun disturbo! Mi ha fatto piacere conoscerti e parlare con te…però… manterrai il segreto, vero? Non dirai a nessuno che io sono qui e che la mia mamma dorme in quella caverna?” Tom sorrise: “Ti prometto che non svelerò a nessuno il tuo segreto!” E mentre il giovane si allontanava, la bimba gli gridò:” Buon rientro al villaggio allora! E non preoccuparti! L’orso e i miei amici lupi stavolta non ti disturberanno!”

mercoledì 8 giugno 2016

IL REGNO DEI FUNGHI

IL REGNO DEI FUNGHI Tanto tempo fa, in un paese sperduto della Loira, Adam, un vecchio alchimista si era ostinato a scoprire il terreno adatto dove far crescere i funghi porcini, che tutti sanno, sono impossibili da coltivare. Per tanti anni, giorno dopo giorno, conduceva esperimenti, mescolando intrugli, raccogliendo vari tipi di terreno provenienti dalle più lontane regioni della Francia, e li mescolava con svariate sostanze esistenti, naturali o chimiche, provando ad inventare un terreno idoneo. Faceva tutto questo perché andava matto per i porcini e voleva coltivarli nel suo orticello. Ma ogni volta, tutti gli esperimenti fallivano. I funghi non crescevano, oppure morivano subito. Dopo aver trasferito i porcini trovati nel bosco, nel nuovo terreno prodotto da lui, a volte i funghi si liquefacevano o si coprivano di muffe strane e mai viste. Il laboratorio era invaso da odori pestilenziali e liquami puzzolenti, così per l’ennesima volta, l’alchimista Adam, si rese conto di aver fallito e un giorno, rinunciò definitivamente all’impresa. L’intruglio da lui inventato e mescolato alla terra dei funghi era stranissimo, puzzolente e oleoso, ma come al solito, non aveva funzionato e i porcini erano seccati. Quella notte, nel chiudere la porta del laboratorio, guardò sconsolato l’ultimo terreno e mestamente salì le scale di legno che portavano all’angusta camera da letto. Si apprestò a spegnere il fuoco del camino poiché fin da bambino non amava vivere in ambienti troppo caldi, e dopo essersi preparato per la notte, andò a dormire, rinunciando definitivamente all’impresa. Fuori pioveva, e quell’autunno sembrava presagire un freddo e lungo inverno. L’indomani Adam, triste e arrabbiato, si alzò presto e non volle mettere piede nel laboratorio. Per tre giorni si rifiutò di andarci e invece si recò al villaggio, dove sbrigò le varie incombenze e ascoltò i soliti rimproveri di Agnese, fidata e anziana domestica, sempre preoccupata per i suoi acciacchi. La mattina del quarto giorno, dopo che Agnese fu uscita per fare la spesa, il vecchio alchimista si recò nel laboratorio per mettere un po’ di ordine e per poco non cadde a terra per l’emozione. Nell’ultima vaschetta, in bella mostra, accanto ai funghi secchi, troneggiavano quattro splendidi e profumati porcini. Erano uno spettacolo! Emanavano un profumo irresistibile i quattro grandi e vellutati cappelli marrone posti sopra grassi e panciuti steli giallastri. Adam urlò di gioia e saltellò nel laboratorio come un bambino che ha appena trovato una scatola di cioccolatini. Finalmente, dopo tanti anni, i suoi sforzi erano stati premiati, ed erano l’unico che avesse inventato un terreno dove poter coltivare i porcini. Corse a chiamare i compaesani, chiamò il sindaco, i giornalisti, gli scienziati e tutti si chiedevano come ci fosse riuscito. Naturalmente lo scienziato non divulgò mai il procedimento e le sostanze che aveva usato per quello speciale terreno. La sera cucinò e mangiò i funghi che si dimostrarono squisiti. Nei giorni seguenti ricevette molte proposte da parte di imprenditori che volevano acquistare la formula segreta per coltivare i funghi ma Adam non accettò e, comprato un podere fuori il paese, lo modificò chimicamente con l’ultimo intruglio inventato, e trovati dei funghi porcini nel bosco, li trapiantò nel campo. In pochi giorni tutta l’area traboccava di funghi che lo scienziato iniziò a vendere. Ogni sera, naturalmente, pretendeva di mangiare una bella porzione di funghi. Poche settimane dopo, la vecchia domestica che invece non condivideva la passione culinaria del suo padrone, notò nuovi e strani atteggiamenti dello scienziato. Adam disseminava tutta la sua roba personale per casa, con i soldi che ricavava dalla vendita dei funghi, comprava altri campi, ma anche fattorie, oggetti e animali. Faceva bollire continuamente grandi pentole d’acqua e amava il caldo. La casa sembrava una serra. Con il passare del tempo, tante persone si comportarono nella medesima maniera e i medici, chiamati dai familiari, non riuscivano a trovare la causa dello strano cambiamento di personalità di tanta gente. Intanto i funghi dello scienziato venivano venduti in tutta la Francia e in altre nazioni. Adam dopo qualche anno morì, e non rivelò mai a nessuno la composizione del terreno speciale ma nel frattempo, tantissime persone svilupparono ancor più l’amore per le saune, per l’espansione dei propri oggetti intorno a sé e altre stranezze. Nessuno seppe mai che i funghi coltivati dall’alchimista, in realtà, erano così mutati da sviluppare intelligenza e coscienza della propria vita. Si erano resi conto di esistere ma impossibilitati ad invadere la terra poiché esseri vegetali inermi e dipendenti dal terreno, i funghi idearono di impadronirsi della mente degli uomini invadendo i loro cervelli e rimanendo stabili nel DNA delle persone. Il cambiamento di personalità di tantissimi uomini altro non era che il possesso da parte dei porcini, della nostra funzionalità celebrale. Lentamente, silenziosamente, nascostamente, i funghi presero dominio del pianeta e l’umanità non fu più la sola padrona del regno terrestre.

venerdì 20 maggio 2016

IL CASTELLO MORTO(parte seconda)

IL CASTELLO MORTO(parte seconda) La cuoca Lia, sorrise dietro i fumi delle pentole:” Beh, signora, sono tutti molto curiosi di conoscervi. La vita al villaggio è piuttosto monotona e voi e la vostra famiglia rappresentate una grande novità…vero Rachele?” Proprio in quel momento, Rachele, armata di scopa e strofinaccio, era entrata in cucina: ”Certo Lia….appena torno a casa mi aspettano i vari parenti per conoscere ogni particolare! Signora Amelie, voi poi arrivate dalla Francia, siete elegante e raffinata e le mie amiche desiderano sapere tutto…come vi pettinate…ciò che indossate. Il vostro profumo preferito…!” La padrona di casa sorrise difronte a quella ingenua curiosità. Le prosperose e rubiconde Lia e Rachele sembravano brave donne, con le guance rubizze e abbondante decolté e ricordavano due variopinte matrioske. Amelie, poco dopo, raggiunse il marito e i figli nella grande sala da pranzo. Il camino illuminava il lungo tavolo di faggio antico dove brillavano argenteria e cristalli. La cena fu consumata fra le chiacchiere eccitate dei ragazzi e la placida soddisfazione dei coniugi, ancora sedotti dalla novità e dal grandioso lusso della maestosa dimora. Poco dopo, tutti si ritirarono nelle loro camere da letto. I soffici piumoni e le pesanti tende di velluto blu notte vegliarono sul sonno dei nuovi arrivati. Ma verso le due del mattino, improvvisamente, un boato pauroso fece saltare tutti in aria. La famiglia, trafelata e spaventata accorse in cucina, incespicando quasi nei gradini delle scale che portavano ai piani inferiori, e ansanti trovarono sul pavimento un macello! Latte, uova, farina…tutta la superficie impiastricciata e bianca di povere. Il dott Morel esclamò:” Ma chi è stato a fare un simile disastro?” Tutti i componenti della famiglia guardavano disgustati il guazzabuglio a terra. Le donne del paese erano andate via dopo cena e la famiglia Morel era rimasta sola al castello. Ma sia Amelie che il marito pensarono subito ad uno scherzo fatto proprio da Lia e Rachele. Senza aggiungere altro, tutti ritornarono nelle rispettive camere da letto, pensierosi e insospettiti. L’indomani mattina, la cucina era ancora un disastro e quando le due donne arrivarono al castello, la famiglia al completo li aspettavano già in piedi. Il signor Morel, scuro e diffidente, fece varie domande alle due donne che caddero letteralmente dalle nuvole. Nessuna delle due era rientrata al castello, e poi per quale motivo sarebbero dovute ritornare nell’antica dimora a notte fonda? Dubbi e interrogativi rimanevano e ma nessuno poté spiegare quella palude di uova e farina in cucina. Comunque le due donne iniziarono subito a pulire, lasciando la famiglia a far colazione. Nella grande camera da pranzo, Ugo, giocando con i fiocchi di avena chiese alla madre:” Mamma, se la cuoca e la cameriera non sono state, chi ci ha fatto uno scherzo simile?” Amelie, sorseggiando il tè:” Non lo so caro, sicuramente qualcuno del paese. Forse qui non siamo ben accetti.” “Sono stati i fantasmi del castello!”-esclamò Berenice con la bocca piena di pane e marmellata. Ma subito il padre bofonchiò: ”Non essere sciocca! I fantasmi non esistono!” Ma nessuno della famiglia udì invece le fragorose risate che fecero gli spiriti in risposta a quella affermazione. Da quel momento in poi, ogni due giorni, la famiglia Morel subì scherzi di ogni tipo…non cattivi. Ma fastidiosi. L’acqua nella vasca da bagno trasformata in ghiaccio, i vestiti negli armadi pieni di ragnatele, nel barattolo della farina, la calce. Musiche strane di notte, così alla fine, esasperato, il dott. Morel licenziò le due donne del villaggio. L’intera famiglia le riteneva responsabili di tutti quegli scherzi che invece di cessare, continuarono. Le vacanze di Natale finirono e la famiglia Morel ritornò a Parigi. I fantasmi del castello, contenti e soddisfatti, si rilassarono godendosi la pace dell’aldilà, sicuri che non avrebbero più rivisto i proprietari francesi. Ma, contro ogni previsione, la famiglia Morel arrivò a fine giugno per passare le vacanze estive al castello. Con loro erano giunti anche due domestici francesi. I fantasmi allora si scatenarono con nuovi scherzi e la reazione dei francesi fu di iniziare a fare stupidi scherzi agli abitanti del villaggio che ritenevano responsabili di tutto. Così fra il castello e il paese fu dichiarata guerra aperta. La signora Amelie trovava rane nei cassetti? Bene! Alla cuoca Lia veniva sporcato con il fango il bucato steso ad asciugare. Ugo scopriva i suoi soldatini di plastica bruciati? Ottimo! Il postino trovava le cassette del villaggio chiuse con la colla. Per varie settimane, la guerriglia continuò, facendo sbellicare i fantasmi che ora, in panciolle, si godevano lo spettacolo. Meglio di uno show televisivo! Ma una notte, stressati più che mai, si diedero appuntamento il sindaco del villaggio e il signor Morel. La situazione era esasperante, così per amor di pace, stabilirono una tregua. Ma a pace fatta, ecco i fantasmi di nuovo a fare scherzi stupidi, perfino agli abitanti del villaggio. L’estate finì, e la famiglia francese, sconfitta, ritornò a Parigi. Il dott. Morel mise in vendita il castello che rimase chiuso per molto tempo. Ma i fantasmi, abituati ormai a far scherzi, a ridere e divertirsi, si ritrovarono di colpo soli. E iniziarono ad annoiarsi. Che gusto c’era ora nell’avere a disposizione il grande castello se non c’era più nessuno da tormentare? Ormai gli spiriti si erano abituati alla televisione, alla musica, ai cellulari. Alle risate dei ragazzi e alla vita familiare dei vivi. Così quel silenzio divenne opprimente, il buio delle camere, deprimente. Tornò ad essere un castello morto. Così decisero di scrivere una lettera anonima e chiedere alla famiglia Morel di cambiare idea sulla vendita del castello e di tornare per le vacanze. Promisero che gli scherzi sarebbero cessati, e che avrebbe regnato la pace con gli abitanti del villaggio. Dopo un consulto di famiglia, i Morel decisero di tornare al castello per le vacanze di natalizie. E in effetti, non ci furono più scherzi né strani episodi. Una nuova luce, di allegra serenità invase le mura del castello e i fantasmi, soddisfatti, ammirarono il bellissimo albero di natale che Ugo e Berenice fecero in camera da pranzo. L’intera famiglia, dei vivi e dei morti, passò un sereno venticinque dicembre. Nel castello, ora, tanta allegria e gioiosa vita!