venerdì 11 dicembre 2015

SUSSULTI DI VITA Era arrivata la fine del mondo. L’indomani sarebbe stato l’ultimo giorno del pianeta e quindi ci sarebbe stato il Giudizio Universale. Sulla terra era scoppiato il panico. Migliaia e migliaia di persone si battevano il petto, in ginocchio, per le strade, imploravano pietà. Tanti si fustigavano pubblicamente per far vedere che erano pentiti. Gli angeli avevano già aperto i cancelli del cielo e il regno delle tenebre era pronto per accogliere i malvagi. I cieli si erano spalancati e le mille verità nascoste all’uomo erano state svelate. Paura, orrore e raccapriccio scuotevano i cuori di milioni di uomini, gente persa che chiedeva pietà. Ma nel marasma totale, un bambino di nome Luca, tranquillamente, continuava a vedere un cartone animato alla televisione. Appariva sereno e pacifico mentre i genitori e i fratelli più grandi, terrorizzati, erano scesi in strada a pregare per la loro salvezza. Luca, spenta la tv era andato in cucina a prepararsi un panino poiché la madre non aveva preparato né la colazione né il pranzo. Era scesa la notte, per le strade, canti, preghiere, fuochi e violenza. Ma il bambino continuava a rimanere a casa. Durante il pomeriggio aveva fatto i compiti, poi si era seduto sul divano aspettando che almeno la sua mamma tornasse a casa. Ma le ore erano passate e nessuno dei suoi familiari si era fatto vedere, così stanco si era addormentato sul divano. Nei suoi otto anni non era mai rimasto solo un minuto a casa ma quel giorno nessuno aveva badato a lui. Dai vetri della sua casa aveva visto tanta confusione, le persone piangere, gridare, gesticolare, e quello spettacolo lo aveva turbato; eppure non provava quel terrore che ogni persona sentiva nel cuore. Sapeva che l’indomani sarebbe stato l’ultimo giorno della sua vita, che seppur breve, era stata serena. Fra le lacrime il papà aveva annunciato che sarebbe morti tutti, ma Luca, non aveva né pianto né gridato. Per lui morire era un concetto molto strano, quasi sconosciuto. Sapeva del paradiso, sapeva degli angeli, ma realmente non sapeva immaginare la sua morte. L’alba stava nascendo sui visi di miliardi di persone che, con gli occhi al cielo, guardavano in alto, pronti per il loro destino finale. Le folle cantavano inni alla misericordia, alla pietà e alla carità. Luca allora si era svegliato, infreddolito poiché aveva dormito senza coperte e aveva chiamato la sua mamma. Ma la casa era fredda e vuota, e allora si era sentito solo e abbandonato. Perché i suoi genitori non erano tornati? Si erano forse dimenticati di lui? E così un tremito aveva scosso il suo piccolo cuore. Preso il suo orsetto di peluche, era sceso in strada a cercare la sua mamma, e non avendola trovata, si era seduto davanti il portone di casa sua e si era messo a piangere. Non aveva paura di morire, come tutti gli altri. Aveva solo il terrore di non rivedere la sua mamma, così abbracciato al suo peluche, singhiozzava chiamandola accoratamente. Ad un tratto il cielo, rosso come il sangue, pian piano si scolorì, ritornando azzurro. Le tenebre, lentamente chiusero gli ingressi, i demoni scomparvero, le creature celesti, sulle maestose ali bianche, si allontanarono dall’umanità. Miliardi di persone videro con i propri occhi tornare alla normalità il nuovo giorno e capirono, fra le lacrime, che il Giorno del Giudizio era stato fermato. Era un miracolo, e tutti erano convinti che le preghiere dette, i loro canti e le promesse del loro pentimento avevano fatto avverare il prodigio. Ma nessuno aveva fatto caso al piccolo Luca che, disperato, aveva pregato il cielo affinché la sua mamma tornasse poiché l’amore che legava figlio e madre era grande più dell’universo. Nelle macerie di un mondo in rovina, quei sussulti di vita, briciole del grande amore, avevano fermato la morte per dare alla vita, un’altra possibilità.

GIORNO DOPO GIORNO

GIORNO DOPO GIORNO C’era una volta, tanto tempo fa, un regno sperduto fra i monti le cui case, palazzi e monumenti era fatte da grandi torri. Lunghe braccia di pietra si innalzavano verso il cielo e ogni abitante di quello strano paese doveva, ogni giorno, salire mille gradini per arrivare nelle stanze più alte. Alcune torri erano bellissime, fabbricate in pregiati marmi rosa o bianchi, altre erano più modeste, ma quella del re era la più incantevole, realizzata da uno splendente avorio bianco. La legge di costruire tutte le abitazioni a forma di torre era stata promulgata dal nonno re che aveva fatto radere al suolo tutta la città per poi farla ricostruire di nuovo con tante torri al posto delle case. I sudditi non si erano chiesti il motivo di questa stranezza ma visto che il vecchio re aveva pagato tutti i lavori e ognuno di loro si era ritrovato la casa nuova cioè una torre nuova di zecca, avevano accettato l’eccentricità di quell’ordine. Così da quel lontano giorno, le torri della città erano diventate famose. Lunghe, articolate, decorate, come longilinei campanili verso l’alto, sfidavano l’aria e le nuvole. La torre più antica era quella del re e sulla quale aleggiava una strana leggenda: si narra che fosse stata costruita in una sola notte ma nessuna sa da chi, e da quel momento, per volere del re, questa magnifica struttura era stata curata, lucidata, amata e rispettata come una cattedrale. Il vecchio re era morto, e gli era succeduto il figlio, e dopo di questo, anche il nuovo principe era salito al trono, facendo rispettare la legge delle torri, condizione indispensabile per ereditare il trono di quel regno. Al tempo in cui racconto la vicenda, in quello strano paese nacque un bimbo che da grande divenne un famoso architetto e il cui nome era Thomas. Terminata la facoltà di Composizione e Disegno di Londra, aveva lavorato in tutta Europa, guadagnando grandi fortune ed era tornato nel suo paese per costruire la propria casa. Ma presentato il progetto della casa, uno sfarzoso palazzo, il Comune gli aveva negato il consenso. Thomas era proprietario di un grande terreno vicino il centro del paese ma poteva costruire solo torri. Il brillante architetto si infuriò, e ribellandosi al volere del Comune, fece iniziare lo stesso i lavori di costruzione del palazzo. Il giovane re, saputa la vicenda, mandò una squadra di operai per distruggere il cantiere appena aperto. Così da quel famoso giorno, Thomas iniziava i lavori di costruzione della propria casa e il re li bloccava e faceva distruggere tutto. Giorno dopo giorno, questa vicenda si protrasse per anni. Il caso di Thomas divenne pubblico e tutto il regno, curioso e interessato, assisteva al teatrino della costruzione e distruzione della casa dell’architetto. Passò molto tempo e il re si era fatto vecchio così anche Thomas ma nessuno voleva cedere sulla sua posizione. Ma una notte il vecchio sovrano si sentì molto male e si accorse di essere arrivato alla fine del suo viaggio, così fece chiamare Thomas al suo capezzale. L’anziano architetto arrivò alla torre d’avorio reale in piena notte, accompagnato dalle guardie reali, percorse lunghi corridoi della cima, le camere sfarzose, i saloni da ballo, quando giunse alla camera da letto del sovrano. Si avvicinò un poco al capezzale del re, per nulla impietosito del suo stato. Erano stati anni di rabbia e frustrazione per entrambi e il rancore era cresciuto a dismisura. Ma il monarca fece cenno a Thomas di avvicinarsi di più e con labile voce mormorò una supplica: “ Per favore- sussurrò debole- costruisci sul tuo terreno una torre, e non una casa. Ti prego! E’ l’ultima preghiera di un vecchio morente.” Thomas strinse le labbra, e furioso replicò:” Perché? Perché vi si siete incaponito così tanto contro di me? Il terreno è mio, e ho diritto di costruire ciò che voglio!” Colpi di tosse roca interruppero la replica. Allora il vecchio re gli domandò:” C’è sulla terra qualcosa che ami più di te stesso?” Thomas rimase disorientato da quella domanda così personale. In quegli anni si era sposato ma purtroppo non aveva avuto figli così la moglie rappresentava la sua ragione di vita. “Più di me stesso amo la mia sposa” rispose l’architetto, sincero. Il moribondo sorrise: “ Ti capisco…e ancor di più ti capirebbe mio nonno. Vedi la legge della torre appartiene a lui.” Thomas esplose:” Appunto! quella sciocca legge è ora di eliminarla! Che senso ha costruire solo torri?” Il re, per la prima volta in cento anni, rivelò il segreto di quella legge. “Vedi caro Thomas-esordì commuovendosi- mio nonno si sposò molto giovane con una bellissima principessa, figlia di un sovrano di un regno vicino. La fanciulla si chiamava Mary ed era molto giovane, buona e gentile. Fin da subito mio nonno uscì pazzo per lei. Stava ore ed ore a sentirla cantare, ammirava come, leggera, ballava sulle punte dei piedi, e come amava coltivare le rose e anche Mary colmava mio nonno di premure. Adorava il marito e non si allontanava mai da lui. Gli dedicava poesie, e gli faceva mille ritratti e ti giuro nessuno era più felice dei miei due nonni. Uscivano insieme a cavallo, pranzavano e cenavano sempre insieme, e leggevano libri per ore, l’uno accanto all’altro, tenendosi per mano. Ma un triste giorno, una strega malvagia, invidiosa del loro amore, gettò un maleficio su mia nonna Mary, trasformando la splendida fanciulla che era in una torre d’avorio…questa.” Thomas rimase pietrificato da questa notizia. “E così da quella notte, mio nonno giurò che la sua adorata moglie non sarebbe mai più rimasta sola. Fece erigere tante torri, per farle compagnia e avrebbe curato questa costruzione come il più prezioso degli edifici. Mia nonna è qui, in qualche modo, e sente e vede tutto. E’ rimasta qui da quella notte e l’amore della mia famiglia l’ha curata e l’ha fatta sopravvivere, nonostante tutto. Ed è per questo motivo che ti chiedo di non costruire una casa ma una nuova amica per mia nonna. E’ il mio ultimo atto d’amore che rivolgo alla mia famiglia, che giorno dopo giorno, ho amato e rispettato.” Thomas, commosso mormorò: “Sarò lieto di poterla servire.” Quella notte il re morì e l’architetto progettò e fece costruire subito la più bella torre del paese. Lucente e splendida come un brillante, rifletteva la luce del sole e il chiarore della luna. Appena terminata la torre, anche Thomas morì e raggiunse in cielo il re. Avversari sulla terra ma amici in paradiso, entrambi ammiravano dall’alto la torre luccicante che era diventata una compagna affezionata della meravigliosa torre d’avorio.

giovedì 10 dicembre 2015

SUSSULTI DI VITA

SUSSULTI DI VITA Era arrivata la fine del mondo. L’indomani sarebbe stato l’ultimo giorno del pianeta e quindi ci sarebbe stato il Giudizio Universale. Sulla terra era scoppiato il panico. Migliaia e migliaia di persone si battevano il petto, in ginocchio, per le strade, imploravano pietà. Tanti si fustigavano pubblicamente per far vedere che erano pentiti. Gli angeli avevano già aperto i cancelli del cielo e il regno delle tenebre era pronto per accogliere i malvagi. I cieli si erano spalancati e le mille verità nascoste all’uomo erano state svelate. Paura, orrore e raccapriccio scuotevano i cuori di milioni di uomini, gente persa che chiedeva pietà. Ma nel marasma totale, un bambino di nome Luca, tranquillamente, continuava a vedere un cartone animato alla televisione. Appariva sereno e pacifico mentre i genitori e i fratelli più grandi, terrorizzati, erano scesi in strada a pregare per la loro salvezza. Luca, spenta la tv era andato in cucina a prepararsi un panino poiché la madre non aveva preparato né la colazione né il pranzo. Era scesa la notte, per le strade, canti, preghiere, fuochi e violenza. Ma il bambino continuava a rimanere a casa. Durante il pomeriggio aveva fatto i compiti, poi si era seduto sul divano aspettando che almeno la sua mamma tornasse a casa. Ma le ore erano passate e nessuno dei suoi familiari si era fatto vedere, così stanco si era addormentato sul divano. Nei suoi otto anni non era mai rimasto solo un minuto a casa ma quel giorno nessuno aveva badato a lui. Dai vetri della sua casa aveva visto tanta confusione, le persone piangere, gridare, gesticolare, e quello spettacolo lo aveva turbato; eppure non provava quel terrore che ogni persona sentiva nel cuore. Sapeva che l’indomani sarebbe stato l’ultimo giorno della sua vita, che seppur breve, era stata serena. Fra le lacrime il papà aveva annunciato che sarebbe morti tutti, ma Luca, non aveva né pianto né gridato. Per lui morire era un concetto molto strano, quasi sconosciuto. Sapeva del paradiso, sapeva degli angeli, ma realmente non sapeva immaginare la sua morte. L’alba stava nascendo sui visi di miliardi di persone che, con gli occhi al cielo, guardavano in alto, pronti per il loro destino finale. Le folle cantavano inni alla misericordia, alla pietà e alla carità. Luca allora si era svegliato, infreddolito poiché aveva dormito senza coperte e aveva chiamato la sua mamma. Ma la casa era fredda e vuota, e allora si era sentito solo e abbandonato. Perché i suoi genitori non erano tornati? Si erano forse dimenticati di lui? E così un tremito aveva scosso il suo piccolo cuore. Preso il suo orsetto di peluche, era sceso in strada a cercare la sua mamma, e non avendola trovata, si era seduto davanti il portone di casa sua e si era messo a piangere. Non aveva paura di morire, come tutti gli altri. Aveva solo il terrore di non rivedere la sua mamma, così abbracciato al suo peluche, singhiozzava chiamandola accoratamente. Ad un tratto il cielo, rosso come il sangue, pian piano si scolorì, ritornando azzurro. Le tenebre, lentamente chiusero gli ingressi, i demoni scomparvero, le creature celesti, sulle maestose ali bianche, si allontanarono dall’umanità. Miliardi di persone videro con i propri occhi tornare alla normalità il nuovo giorno e capirono, fra le lacrime, che il Giorno del Giudizio era stato fermato. Era un miracolo, e tutti erano convinti che le preghiere dette, i loro canti e le promesse del loro pentimento avevano fatto avverare il prodigio. Ma nessuno aveva fatto caso al piccolo Luca che, disperato, aveva pregato il cielo affinché la sua mamma tornasse poiché l’amore che legava figlio e madre era grande più dell’universo. Nelle macerie di un mondo in rovina, quei sussulti di vita, briciole del grande amore, avevano fermato la morte per dare alla vita, un’altra possibilità.

mercoledì 9 dicembre 2015

GIORNO DOPO GIORNO

GIORNO DOPO GIORNO C’era una volta, tanto tempo fa, un regno sperduto fra i monti le cui case, palazzi e monumenti era fatte da grandi torri. Lunghe braccia di pietra si innalzavano verso il cielo e ogni abitante di quello strano paese doveva, ogni giorno, salire mille gradini per arrivare nelle stanze più alte. Alcune torri erano bellissime, fabbricate in pregiati marmi rosa o bianchi, altre erano più modeste, ma quella del re era la più incantevole, realizzata da uno splendente avorio bianco. La legge di costruire tutte le abitazioni a forma di torre era stata promulgata dal nonno re che aveva fatto radere al suolo tutta la città per poi farla ricostruire di nuovo con tante torri al posto delle case. I sudditi non si erano chiesti il motivo di questa stranezza ma visto che il vecchio re aveva pagato tutti i lavori e ognuno di loro si era ritrovato la casa nuova cioè una torre nuova di zecca, avevano accettato l’eccentricità di quell’ordine. Così da quel lontano giorno, le torri della città erano diventate famose. Lunghe, articolate, decorate, come longilinei campanili verso l’alto, sfidavano l’aria e le nuvole. La torre più antica era quella del re e sulla quale aleggiava una strana leggenda: si narra che fosse stata costruita in una sola notte ma nessuna sa da chi, e da quel momento, per volere del re, questa magnifica struttura era stata curata, lucidata, amata e rispettata come una cattedrale. Il vecchio re era morto, e gli era succeduto il figlio, e dopo di questo, anche il nuovo principe era salito al trono, facendo rispettare la legge delle torri, condizione indispensabile per ereditare il trono di quel regno. Al tempo in cui racconto la vicenda, in quello strano paese nacque un bimbo che da grande divenne un famoso architetto e il cui nome era Thomas. Terminata la facoltà di Composizione e Disegno di Londra, aveva lavorato in tutta Europa, guadagnando grandi fortune ed era tornato nel suo paese per costruire la propria casa. Ma presentato il progetto della casa, uno sfarzoso palazzo, il Comune gli aveva negato il consenso. Thomas era proprietario di un grande terreno vicino il centro del paese ma poteva costruire solo torri. Il brillante architetto si infuriò, e ribellandosi al volere del Comune, fece iniziare lo stesso i lavori di costruzione del palazzo. Il giovane re, saputa la vicenda, mandò una squadra di operai per distruggere il cantiere appena aperto. Così da quel famoso giorno, Thomas iniziava i lavori di costruzione della propria casa e il re li bloccava e faceva distruggere tutto. Giorno dopo giorno, questa vicenda si protrasse per anni. Il caso di Thomas divenne pubblico e tutto il regno, curioso e interessato, assisteva al teatrino della costruzione e distruzione della casa dell’architetto. Passò molto tempo e il re si era fatto vecchio così anche Thomas ma nessuno voleva cedere sulla sua posizione. Ma una notte il vecchio sovrano si sentì molto male e si accorse di essere arrivato alla fine del suo viaggio, così fece chiamare Thomas al suo capezzale. L’anziano architetto arrivò alla torre d’avorio reale in piena notte, accompagnato dalle guardie reali, percorse lunghi corridoi della cima, le camere sfarzose, i saloni da ballo, quando giunse alla camera da letto del sovrano. Si avvicinò un poco al capezzale del re, per nulla impietosito del suo stato. Erano stati anni di rabbia e frustrazione per entrambi e il rancore era cresciuto a dismisura. Ma il monarca fece cenno a Thomas di avvicinarsi di più e con labile voce mormorò una supplica: “ Per favore- sussurrò debole- costruisci sul tuo terreno una torre, e non una casa. Ti prego! E’ l’ultima preghiera di un vecchio morente.” Thomas strinse le labbra, e furioso replicò:” Perché? Perché vi si siete incaponito così tanto contro di me? Il terreno è mio, e ho diritto di costruire ciò che voglio!” Colpi di tosse roca interruppero la replica. Allora il vecchio re gli domandò:” C’è sulla terra qualcosa che ami più di te stesso?” Thomas rimase disorientato da quella domanda così personale. In quegli anni si era sposato ma purtroppo non aveva avuto figli così la moglie rappresentava la sua ragione di vita. “Più di me stesso amo la mia sposa” rispose l’architetto, sincero. Il moribondo sorrise: “ Ti capisco…e ancor di più ti capirebbe mio nonno. Vedi la legge della torre appartiene a lui.” Thomas esplose:” Appunto! quella sciocca legge è ora di eliminarla! Che senso ha costruire solo torri?” Il re, per la prima volta in cento anni, rivelò il segreto di quella legge. “Vedi caro Thomas-esordì commuovendosi- mio nonno si sposò molto giovane con una bellissima principessa, figlia di un sovrano di un regno vicino. La fanciulla si chiamava Mary ed era molto giovane, buona e gentile. Fin da subito mio nonno uscì pazzo per lei. Stava ore ed ore a sentirla cantare, ammirava come, leggera, ballava sulle punte dei piedi, e come amava coltivare le rose e anche Mary colmava mio nonno di premure. Adorava il marito e non si allontanava mai da lui. Gli dedicava poesie, e gli faceva mille ritratti e ti giuro nessuno era più felice dei miei due nonni. Uscivano insieme a cavallo, pranzavano e cenavano sempre insieme, e leggevano libri per ore, l’uno accanto all’altro, tenendosi per mano. Ma un triste giorno, una strega malvagia, invidiosa del loro amore, gettò un maleficio su mia nonna Mary, trasformando la splendida fanciulla che era in una torre d’avorio…questa.” Thomas rimase pietrificato da questa notizia. “E così da quella notte, mio nonno giurò che la sua adorata moglie non sarebbe mai più rimasta sola. Fece erigere tante torri, per farle compagnia e avrebbe curato questa costruzione come il più prezioso degli edifici. Mia nonna è qui, in qualche modo, e sente e vede tutto. E’ rimasta qui da quella notte e l’amore della mia famiglia l’ha curata e l’ha fatta sopravvivere, nonostante tutto. Ed è per questo motivo che ti chiedo di non costruire una casa ma una nuova amica per mia nonna. E’ il mio ultimo atto d’amore che rivolgo alla mia famiglia, che giorno dopo giorno, ho amato e rispettato.” Thomas, commosso mormorò: “Sarò lieto di poterla servire.” Quella notte il re morì e l’architetto progettò e fece costruire subito la più bella torre del paese. Lucente e splendida come un brillante, rifletteva la luce del sole e il chiarore della luna. Appena terminata la torre, anche Thomas morì e raggiunse in cielo il re. Avversari sulla terra ma amici in paradiso, entrambi ammiravano dall’alto la torre luccicante che era diventata una compagna affezionata della meravigliosa torre d’avorio.

IL REGNO DELLE PIETRE

IL REGNO DELLE PIETRE L’imperatore Diamante e la regina Ametista governavano il regno delle pietre dell’universo con saggezza e bontà. I sudditi, pietre preziose e comuni sassi obbedivano ai loro voleri senza ribellarsi e sulla terra avevano imparato a convivere con l’uomo. Ogni tanto qualche straniero arrivava sul pianeta tramite meteoriti, per omaggiare i sovrani che vivevano in un castello costruito con acquemarine e smeraldi. Le torri era fatte da rubini e le finestre e le porte realizzate da enormi e luccicanti zaffiri. Sulla terra i massi rotolavano solo se avevano il permesso di muoversi, ciottoli e ghiaie contemplavano la fredda luna e il cocente sole senza iniziative personali. Il fondo degli oceani raccoglieva nelle sue mani l’acqua preziosa che carezzava le rocce, levigandole e la polvere viaggiava insieme ad altri pulviscoli, leggera e aggraziata. Ma dalla notte dei tempi, questo regno così ben governato aveva un bel problema…Diamante doveva placare la rabbia di un tipo di pietra che aveva sempre da ridire. Infatti la lava si ribellava sempre ai suoi ordini e non voleva diventare dura come le altre pietre. Solo l’intervento dell’imperatore la costringeva ad assumere forma solida. Gli scoppi d’ira di queste pietre liquide tormentavano la terra, e fuoriuscivano dai budelli del pianeta, gridando e fumando, rosse di rabbia e nervosismo. I vulcani esplodevano spesso e l’imperatore Diamante doveva intervenire subito per fermare i fiumi bollenti che rotolavano giù, implacabili e spietati. Gli uomini non ne potevano più di questi problemi con la lava, così tentarono perfino di sigillare un vulcano, il Vesuvio, per impedire che la lava fuoriuscisse. Risultato: il vulcano esplose distruggendo le città vicine. La lava era comandata da un principe prepotente e dispettoso, lontano cugino di Diamante e da sempre innamorato della regina Ametista. Millenni prima, aveva offerto alla sovrana la sua proposta di matrimonio, ma Ametista voleva sposare Diamante e rifiutò l’intenzione della lava. Così il principe sfogava la sua rabbia, ribollendo ed eruttando la tristezza e la disperazione attraverso i vulcani, suoi fidati amici. Ametista sapeva che, in qualche maniera, il principe della lava soffriva per amore e così gli propose un accordo. Per non lasciarlo solo, alcuni nobili e dignitari di corte, pietre preziosissime, avrebbero abitato nei coni dei vulcani per fargli compagnia e rallegrarlo. E così da quel giorno la lava, quando fuoriusciva, salutava i rubini e gli zaffiri incastonati fra le pietre delle pareti dei vulcani, e in cambio il principe della lava avrebbe dato spettacolo della sua forza e potenza con meravigliosi schizzi e spruzzi di fuoco e fiamme che avrebbero illuminato il blu della notte.

domenica 22 novembre 2015

IL PARADISO NEL CUORE

IL PARADISO NEL CUORE Nel mondo dei desideri, il dio denaro era il più potente. Milioni e milioni di pensieri assetati gli arrivavano ogni giorno e lui naturalmente era orgoglioso e tronfio di tale successo. Fin dall’inizio del tempo gli uomini avevano per questo dio almeno un desiderio al giorno. Notte e giorno, ogni persona del pianeta di qualunque età, religione, sesso, classe sociale e culturale, dedicava al denaro la fantasia di possederlo. Ma nel mondo dei desideri, anche la salute, l’orgoglio, l’amore erano molto potenti ma nessuno lo era come il dio denaro e così questo dio, egoista e crudele si sentiva il padrone di questo universo. “Tutti mi desiderano-affermava ogni giorno a tutte le divinità di questo cosmo- e nessuno è immune al desiderio di possedermi.” E lì a vantarsi, a pavoneggiarsi, a compiacersi. La dea della pace cercava di controbattere:” Ma tante persone del pianeta terra desiderano anche me e sono milioni! Sento le loro voci e ascolto i loro pensieri! Tantissimi desiderano la pace!” “Ma fammi il piacere!- replicava Denaro, cattivo e arrogante-qualsiasi desiderio di pace, davanti al desiderio del soldi viene spazzato via in un attimo! L’umanità ama più me della propria anima!” Ma la pace esasperata lo provocò:” Vuoi scommettere che troverò qualcuno che non ti ha mai desiderato?” Il dio denaro si zittì, turbato e sospettoso:” Tu mi assicuri che esiste un uomo, sulla faccia della terra che nel suo cuore non ha mai desiderato l’oro, i gioielli e quindi il denaro?” La dea sorrise e replicò: “ Quest’uomo è già nato e se vuoi, ti mostro dove vive e lavora.” Il dio denaro, fuori di sé dalla curiosità e dallo smarrimento, esclamò:” E allora dimmi qualcosa di lui! Cavolo, deve essere diverso come un extraterrestre se nella sua vita non ha mai rivolto a me, almeno un desiderio! Dimmi…cosa vedi nel suo cuore?” La dea della pace rispose: “ Nel suo cuore vedo il paradiso! Vedo saggezza…vedo mansuetudine…Tolleranza. E ogni giorno mi rivolge sempre un pensiero!” Il dio denaro allora esclamò: “Non è possibile!! Non esiste un uomo simile! Fammelo vedere subito!” La dea della pace aprì il sipario del tempo e dello spazio e mostrò all’orgoglioso dio denaro, dove viveva quest’uomo così speciale. “Ma è povero!!!!” esclamò il dio denaro. “Appunto” rispose la dea della pace. “E’ figlio di un falegname!” Gridò inorridito il dio. “Già.” “ Veste di stracci….sento-il dio denaro ascoltava i pensieri di quell’uomo così speciale- sento che è stanco. Ha anche fame!” La dea della pace, contenta e soddisfatta, allora lo zittì: “ Come vedi, nel suo cuore non ha mai desiderato il denaro! Ed è incredibile, quest’uomo tanto diverso dal resto dell’umanità, non ha mai desiderato né il potere, nessuna ricchezza e nessun regno. Il dio denaro era esterrefatto e guardava il giovane lavorare nella bottega del padre. Docile, sottomesso, eppure la sua potenza straripava dal suo cuore. Aveva in sé il paradiso e voleva donarlo anche agli altri. “E sai una cosa?-aggiunse la dea della pace- non è un miserabile come pensi. Anche se è povero…anche se vive in una misera casa e veste di tracci, non immaginerai mai chi è …” Il dio denaro, esasperato e umiliato, esclamò:” E allora chi è? Un dio?” “Appunto” Rispose la dea della pace, con un luccichio nel cuore.

venerdì 13 novembre 2015

L'IDAGO E I LAGHI DI PIETRA

L’IDAGO E I LAGHI DI PIETRA Il re Torraiolo era stremato. Per molte notti aveva dato ordini agli eserciti dei suoi elfi di difendere il castello, antica dimora di famiglia che si trovava vicino i laghi di pietra. Aveva saputo che il terribile Idago stava arrivando per conquistare il suo territorio. Gli altri sovrani elfi erano già stati sconfitti e si erano rifugiati al nord, fra i monti del ghiacciaio eterno e i loro eserciti erano stati dispersi dalla potente creatura. Molti soldati elfi erano stati uccisi, altri avevano perso il senno o la memoria poiché il loro sguardo aveva incrociato troppo a lungo quello dell’Idago che, in quell’attimo, aveva deciso di controllare le loro menti. Le armi del terribile animale non solo erano rappresentate dalla sua forza smisurata e dalla incredibile velocità che possedeva, ma soprattutto dal potere della mente che faceva vacillare chiunque lo guardasse in viso. Torraiolo però sperava che L’Idago giungesse prima ai laghi di pietra per poterlo fermare. Il castello dell’elfo era protetto da quelli che, per secoli, il popolo aveva definito “gli occhi della terra.” Enormi buchi rocciosi che contenevano sassi liquidi, azzurri come l’acqua. Ogni pozza era molto profonda e terminava con un immenso fondo nero come la pece. La chiara superficie ogni tanto si increspava a causa degli uccelli che, incauti, volavano sulle strane acque e cadevano paralizzati. Questo era il loro grande potere. I laghi di pietra bloccavano tutti coloro che non erano elfi e per tal motivo re Torraiolo aveva fatto edificare accanto a loro la sua dimora fatta da marmi neri e lucenti che rispecchiavano la sua buffa immagine, il verde della pelle e le orecchie a punto. Il sovrano amava il suo castello, enorme e maestoso e le cui torri quasi sfioravano le cime dei monti. L’Idago, volando basso, aveva appena superato gli alberi bitorzoluti del bosco di cristallo. Ogni pianta era fatta da tronchi sottili e foglie a forma di cuore. Qualsiasi albero che cresceva vicino il reame di Torraiolo stranamente mutava. Perfino gli arbusti, i cespugli e i fiori assumevano una strana rigidità…come se fossero delle pietre, dure e rigide e finanche il vento, in quella parte del bosco, cadeva. Un silenzio profondo avvolgeva quegli strani luoghi. E infatti l’Idago, avvicinandosi a quei luoghi immediatamente interruppe la sua corsa, percependo nel cuore, ansia e inquietudine. L’odore del pericolo lo fece fermare e acquattare. Subito le ali si chiusero, avvolgendolo come un manto rosso. In lontananza osservò il castello di Torraiolo, circondato da monti e laghi azzurri. La volontà incitava l’animale a puntare dritto verso la dimora reale per conquistarne il territorio, però l’istinto gli impedì di muoversi. C’era qualcosa di spaventosamente strano in quei posti e l’Idago percepì una terrificante minaccia. Un pericolo che aspettava solo che lui si avvicinasse di più al castello. Nel frattempo Torraiolo ordinò ai soldati di catturare la creatura appena si fosse paralizzata nei pressi dei laghi di pietra. Le ore erano passate, e della magica creatura, si erano perse le tracce. Il re aveva perso la pazienza e ora sbraitava contro il generale delle guardie di prima linea: “ Siete dei buoni a nulla! Dei lavativi-Torraiolo si agitava come un ossesso- mi dici dove diavolo è finito l’Idago?” Il generale balbettava: “ Sire, lo abbiamo atteso sul confine sud, certi che avrebbe puntato al castello, ed invece non è arrivato. Non sappiamo ora dove si trova…il mio luogotenente suggerisce che forse si è ritirato. Probabilmente intimorito dallo spiegamento di tutti gli eserciti ha preferito tornare indietro e lasciare il regno. Però il mio aiutante non ne è certo.” “Idioti-il reale elfo si avvicinò al generale al punto che le antenne che entrambi avevano sulla testa, si sfiorarono-L’Idago è l’essere più potente dei regni…è l’animale più forte che mai sia stato generato. Il mio regno è l’ultimo che gli rimane da conquistare e tu credi che si ritiri senza combattere?” Il generale bofonchiava: ”Allora può darsi che abbia percepito il pericolo dei laghi di pietra e ci aspetti ai margini del bosco di cristallo per farci un’imboscata. Lì il flusso paralizzante dei laghi non arriva.” Torraiolo tacque, riflettendo sull’ipotesi del militare: “ Non credo-rispose però turbato- nessuno conosce il potere dei laghi poiché solo gli elfi ne sono immuni e ogni essere vivente, pianta o animale, vicino ai laghi si paralizza. Questo segreto non è mai uscito dal mio regno. Come può l’Idago esserne venuto a conoscenza?” Il Generale tacque e così anche il re che poi aggiunse:” Fai perlustrare tutto il territorio e assicurati che l’animale sia andato via. Solo in questo modo mi posso tranquillizzare.” Il militare fece eseguire l’ordine senza sapere che l’Idago invece si era nascosto nel folto del bosco, mimetizzandosi fra l’erba, proprio come aveva ipotizzato lui. Le guardie però non lo videro e così la sera, giunse la falsa notizia che la potente creatura aveva lasciato il regno. Torraiolo esultava felice, convinto che l’animale, preda della paura, avesse avuto timore di battersi e fosse fuggito. Non sapeva però che l’astuto essere lo stava aspettando ai confini del bosco di cristallo per poter influenzare la sua mente, e strappargli tutti i poteri regali degli elfi, compresa l’immunità dei laghi di pietra. Così Torraiolo, l’indomani, volle percorrere personalmente, insieme alle sue guardie, i confini del suo territorio per accertarsi che tutto fosse tornato alla normalità, quando improvvisamente l’Idago sbucò dal folto del bosco. Le guardie, terrorizzate, lo fissarono per pochi secondi e fuggirono via, pazzi di orrore e sgomento. Le loro menti, confuse e stordite, persero il senno e la memoria. Il re elfo, nel panico, tentò di fuggire ma la magica creatura lo raggiunse immediatamente. Resosi conto che era stato sconfitto, il re Torraiolo si inginocchiò davanti l’Idago e gli consegnò lo scettro, cedendo all’animale ogni potere e forza della sua condizione di elfo reale. La potente creatura conquistò l’ultimo territorio su cui non comandava e divenne così il sovrano assoluto di tutti i regni magici della terra.