domenica 4 dicembre 2016

IL CASTELLO DIMENTICATO

IL CASTELLO DIMENTICATO Avevo sempre detestato i viaggi organizzati, a differenza di mio fratello Giuseppe. Ma anche quest’anno non avevo potuto sottrarmi alla terza tortura che i miei genitori mi avevano inflitto. Sì, perché tre anni prima eravamo andati a visitare i castelli della Loira, poi l’anno scorso siamo andati a vedere i castelli della Baviera e quest’anno la meta erano i castelli della Scozia. Per dieci giorni mi sarei dovuta alzare alle sei del mattino, consumare colazioni veloci, fare e disfare i bagagli ogni due giorni e sorbirmi interminabili spiegazioni delle guide turistiche sull’origine e la storia dei vari castelli…e io odiavo i castelli! Barbosi, vecchi, polverosi inni del passato. Invece i miei genitori, Maria, insegnante di Arte e Fabio, medico curante e anche mio fratello, più grande di me di tre anni, tutti e tre andavano matti per le antiche regge. Davanti ad immensi saloni dell’ottocento, cinte murarie, ponti levatoi, oscure segrete, ascoltavano rapiti fatti e avvenimenti storici avvenuti nei luoghi che visitavamo, mentre io mi annoiavo a morte. Per di più io non sopportavo ciò che era vecchio. Avrei voluto vivere in una casa ultramoderna, mentre mio padre era fissato con i mobili antichi e nel nostro appartamento tutto era vetusto. Ogni mobile era appartenuto ai bisnonni, ed ereditato dai miei genitori quando si erano sposati. Più che una casa, dove vivevo sembrava un antico e polveroso museo. Di nuovo c’era solo la televisione e gli elettrodomestici della cucina. “Elena, impensabile che tu rimanga a casa da sola!- sbraitava sempre mia madre quando osavo proporre, alla vigilia della partenza, di non partecipare al viaggio organizzato- hai solo sedici anni. E ti ho sempre detto che la famiglia si muove tutta insieme. Soprattutto per le vacanze estive!” Brontolavo fra me e me, riponendo calze e pantaloni nel trolley, mentre mio padre rincalzava la dose:” Ha ragione la mamma. Questi viaggi, oltre ad essere interessanti sono una buona occasione per fare qualcosa tutti insieme. E se tu detesti i castelli e le cose antiche, non possiamo farci nulla. Anche io odiavo la cipolla…e sapessi quanta ne ho dovuta mangiare quando tua nonna cucinava!” Esasperata, collegavo le cuffie al cellulare per sentire il mio youtuber preferito e isolarmi da quel coro di proteste parentali che a volte, davvero esageravano. La mia famiglia è sempre stata un po’ all’antica, e delle mie amiche, ero la sola che alla mia età, ancora non aveva il permesso di uscire da sola la sera. Infinite discussioni con i miei genitori per poi ottenere solo due ore di autonomia, il sabato pomeriggio, per prendere un gelato in piazza con le mie amiche. Poi loro(fortunate!) raggiungevano gli altri compagni del liceo per andare a mangiare la pizza e finire la serata in discoteca, mentre io(misera) ritornavo a casa con la coda fra le gambe, ribollendo di rabbia e di ingiustizia. Ciò che mi faceva imbestialire era che mio fratello Giuseppe, al primo anno di università, aveva tutta la libertà che voleva. Esclusi naturalmente, alcolici, fumo e amici strani. Però, dopo aver finito di studiare, poteva uscire, e il sabato andare in discoteca e rincasare quando voleva, mentre io avevo ancora la catena al collo. Un giorno, avevo osato chiedere di uscire con lui, almeno per non passare da sfigata davanti a tutta la mia classe. Tutti i miei compagni sapevano delle restrizioni alla mia libertà, ma il traditore di mio fratello si era categoricamente rifiutato. “Uscire con me- aveva esclamato, inorridito- e se rimorchio una ragazza, tu che fai?” Tentavo di persuaderlo in tutte le maniere, ma le poche volte che avevo osato riparlarne, Giuseppe ringhiava: “ Elena, tu con me non esci! Mi rovineresti la piazza…e magari spiffereresti chissà cosa su di me! Io le conosco le sorelle minori…pronte ad inventarsi assurde scemate per demolirti la serata.” Così non avevo alleati in casa. Per di più, dietro le lenti spesse degli occhiali, mio padre bonariamente cercava di convincermi che le “ faccende domestiche” servivano a forgiare la volontà, oltre ad essere educative, così il sabato potevo aiutare in casa, mentre mia madre meno diplomatica, sbraitava che non poteva fare tutto lei, e che almeno io mi dovevo occupare dei piatti la sera e la mattina, e della pulizia della mia camera, il sabato sera. Risultato: il fine settimana passato sui libri e a pulire sotto il mio letto… e perfino le vacanze estive erano un supplizio. Avrei tanto voluto andare al mare, come tutte le mie amiche, visto che abitavano in un paesino del nord Italia, mentre la mia famiglia stravedeva per le visite culturali. E quell’estate eravamo partiti lo stesso! Tre giorni dopo, non ne potevo più! Quella mattina avremmo dovuto raggiugere con il pullman, l’antico castello della famiglia dei Conti Mackenzie, tetro e isolato fra le montagne scozzesi delle Highlands. La guida, lungo il tragitto, ci aveva informati che l’ultimo discendente aveva aperto da poco, la sua dimora ai visitatori. Così, quel castello sperduto e inaccessibile, era diventato ambita meta turistica e dopo due ore di viaggio, il pullman aveva parcheggiato nel grande piazzale, fuori le cinta murarie della fortezza. La prima impressione che ebbi, fu di una enorme montagna grigia. Ma, dietro l’arco che collegava l’ingresso, svettavano torri e torrette, tetti decorati da merlature ed enormi vetrate di cristallo. Tutto mi appariva grigio e vecchio, mentre il gruppo di turisti con cui facevamo il viaggio, era grande visibilio e non mancavano numerosi gridolini di apprezzamento. Dopo innumerevoli portoni e corridoi, antichi quadri e mobili sfarzosi, entrammo in una grande sala il cui camino era più alto di me. Un lungo tavolo di legno massiccio e pesanti sedie lo circondavano e trofei di caccia lungo le pareti rendevano l’ambiente tetro e sinistro. La mia famiglia invece sembrava impazzita dall’entusiasmo, e tutti continuavano a fotografare ogni particolare che notavano, mentre io, stufa di sentire continui complimenti sulla ricchezza del luogo e la sua magnificenza, decisi di staccarmi dal gruppo e gironzolare per i fatti miei. Lasciai la sala degli orrori, girando a destra, percorsi un corridoio che accedeva ad una scalinata circolare. Salendo i gradini, continuavo ad osservare i ritratti degli antenati di questo famoso conte, che mi sbirciavano dai loro ridicoli abiti medievali, scuri e altezzosi. Quei volti pallidi, mi davano fastidio. Come fantasmi appesi alle pareti, donne incipriate e perfino bambini, seguivano i miei passi. Piccole dame e paggi con vicino cani e giochi infantili, sospesi sulle grigie pareti secolari, accompagnavano la mia perlustrazione. Giunsi ad un altro corridoio, e senza volerlo, aprii la seconda porta, ignorando la prima. La maniglia, cedette facilmente, e mi ritrovai in una grande stanza. A bocca aperta, notai subito un grande letto con una coperta rosa, piena di peluche e accanto ad una moderna toilette, un armadio e moderne librerie e quadri. Alle pareti, poster di sconosciuti cantanti. Mi avvicinai alle foto sul comodino, e rimasi colpita da un’istantanea di una ragazza. Chi aveva scattato quell’istantanea, l’aveva sorpresa a truccarsi allo specchio. Forse si preparava per una festa. Scrutai il profilo, e mi sembrò molto carina. In un’altra foto, la stessa ragazza abbracciava un cane. Sembrava un Collie. Riconobbi le mura esterne del castello. Riposai la foto e mi avvicinai alle tende di pesante velluto rosa delle finestre. Il lontananza, le montagne e i boschi, su un cielo blu da cartolina, turbarono la mia anima . Io, quel paesaggio l’avevo visto…ma quando? Mi guardai di nuovo, intorno. Fissavo, lentamente, come una lente d’ingrandimento i mobili, la lampada sul comodino, il tappeto, i poster…e lentamente, con orrore, mi sembrava di riconoscere quegli oggetti. Immagini sbiadite, micro flash che impazzavano nella mia mente. Poi buio e di nuovo, particolari indefiniti…sfuocati….impalpabili. Come fumo nell’oscurità. Boccheggiavo…io quella stanza la ricordavo bene…quella coperta l’avevo scelta io. I peluche mi erano stati regalati…mi sentii soffocare davanti a ciò che non avendo mai visto, riconoscevo. “Chi è lei?” mi domandò in inglese, una voce profonda alle mie spalle. Mi voltai di scatto, e mi ritrovai un giovane uomo, sulla trentina. Un sguardo astioso, come una lama blu ghiaccio, mi trapassò da parte a parte. Spaventata, e ancora sconvolta, per le sensazioni che quel luogo mi aveva suscitato, farfugliai misere scuse nella sua lingua. Mi diressi verso la porta, quando lo stesso uomo, cambiando tono, mi chiese:” Lei è italiana, vero?” Non so perché mi bloccai. Sulla soglia, mi girai e gli risposi nel mio stentato inglese:” Sì. Sono arrivata con il gruppo di turisti.” Non mi fidavo di quell’estraneo. Chi era? Faceva parte del personale del castello? Stavo proprio per andare via, quando lo riconobbi in un’altra foto, sopra la toilette, abbracciato alla ragazza delle altre istantanee. Un primo piano di entrambi, e lui, molto più giovane di ora. Notai però immediatamente la somiglianza. Lo sconosciuto, captando il mio sguardo, mormorò. “Era mia sorella Anne.” Rimasi male, sentendo che parlava di quella ragazza, al passato. Il suo sguardo mesto mi fece capire che sua sorella non era più viva. Inghiottii amaro. E mi resi conto che quello sconosciuto faceva parte della famiglia dei proprietari del castello. Ricordando le parole della guida, gli chiesi. ”Lei è il conte Mackenzie?” Una fila candida di denti, abbozzò un sorriso:” Sì sono io…ma mi può chiamare Tom. Lei come si chiama?” Mi sentii un’idiota. E chi aveva mai parlato con un conte? I nobili facevano parte di un mondo a me alieno. Gli risposi, a disagio:” Mi chiamo Elena-e fissando le foto, continuai-mi spiace, non volevo curiosare.” Chissà se nel mio terribile inglese, mi ero espressa correttamente. Tom prese in mano la foto della sorella, fissandola con nostalgia:” Avevo sedici anni quando è morta. E da quel momento, la nostra vita non è stata più la stessa. I miei genitori hanno mantenuto la sua camera intatta. Niente è stato cambiato da allora.” Per la prima volta, gli sorrisi, commentando: “E’ una bella stanza…molto diversa dal resto del castello.” Tom, alzando lo sguardo, mi fissò incuriosito. Dal mio commento emergeva chiaramente che del maestoso castello, non mi importava niente, ma quella stanza mi piaceva molto. Stavo per chiedere com’era morta sua sorella, quando, in lontananza, sentii chiamare il mio nome. Non dissi niente, e salutandolo frettolosamente, raggiunsi i miei genitori. Tom rimasto solo, mormorò:” Strana ragazza. Avrei giurato che anche lei, come mia sorella, odiava i castelli.” Lasciai quel posto, con un misto di tristezza e sollievo. Il pullman, veloce, si allontanava da quei luoghi, che ora, mi erano familiari. Non capivo perché mi sentivo così strana, ma per fortuna, qualche ora dopo, arrivata in albergo, il turbamento si era affievolito. La mattina seguente avevo dimenticato tutto, convinta che le strane sensazioni di déjà-vu che la stanza mi aveva ispirato, erano solo mie fantasie, dovute sicuramente al tetro luogo in cui mi trovavo. Impossibile credere nella reincarnazione….per quanto mi riguarda, io non ho mai creduto a queste leggende! Per fortuna però, non seppi mai dove si recò l’ultimo discendente della casata, l’indomani del nostro incontro. Nella cappella di famiglia, a ridosso della piccola chiesa del castello, Tom portò dei fiori sulla tomba di sua sorella Anne. Rimase a lungo a fissare la foto ovale sul bianco della lastra di marmo e la data incisa in caratteri dorati. “Anne Mackenzie, nata il 15 Aprile del 1984- morta il 18 giugno 2000.” 18 giugno 2000…Il giorno in cui Anne morì è lo stesso giorno in cui sono nata io.